chiara guidi
Artwork di Chiara Guidi

Chiara Guidi ha vissuto per anni nel centro storico di Prato ma poi, nell’estate del 2020, ha deciso che voleva una nuova finestra dalla quale affacciarsi. E si è trasferita a Roma.

Hai deciso di andare a vivere a Roma durante la quarantena o avevi già l’idea di farlo?
«No, l’idea è nata durante la quarantena: prima del Covid avevo deciso di fare un anno in giro, visto che ho la fortuna di fare un lavoro che mi permette di spostarmi portando con me solo un computer. Passavo 15 giorni al mese a trovare gli amici, in altre parti d’Italia o all’estero, poi è arrivato il Covid e ci siamo fermati tutti. Durante il lockdown, quando ci hanno liberato a maggio, ho deciso che Roma mi piaceva: ho pensato di farci un mese a luglio e per una serie di cose alla fine ho trovato casa e mi sono trasferita. Probabilmente ho covato durante il lockdown, ma è stata molto estemporanea».

Sei illustratrice.
«Faccio grafica e illustrazione, e da ormai 6 anni lavoro con un’agenzia delle Nazioni Unite che fa progetti di sviluppo per la sostenibilità, nella moda e nel design. Loro hanno sede in Svizzera ma lavoro da casa: facevo telelavoro da prima della pandemia. Questo mi permette di spostarmi facilmente. Ho questa fortuna, sono una persona curiosa e volevo un’altra finestra da cui affacciarmi. Avevo qualche amico qui e Roma mi è sempre piaciuta».

Che differenze hai trovato tra Prato e Roma, a parte la dimensione?
«È’ stato strano anche trasferirsi durante la pandemia! Di fatto, a parte qualche mostra o manifestazione, non ho mai vissuto Roma e non so com’era prima. Ci sono tantissime cose da fare, è una città con molte più possibilità. Mi piace molto camminare, e a Roma dove ti giri ti perdi, è piena di stimoli e nel mio lavoro è importante vedere cose nuove, avere sempre nuovi stimoli visivi. Ci sono molte mostre, anche nella limitatezza della pandemia. Per ora mi sta piacendo. Nei rapporti è difficile, perché è una grande città e siamo in pandemia, per cui non è facile fare nuove amicizie, ma con il tempo vedremo».

Un trasloco in piena pandemia.
«Sì, a parte i mobili che sono a casa dei miei genitori, dove c’è la stratificazione di tutte e quindici le case che ho cambiato nella mia vita. Ho fatto questo mese in cui ero ospite da un’amica e intanto cercavo casa, e a settembre 2020 ho lasciato la casa in affitto di Prato e mi sono trasferita a Roma. Ho altri amici che si sono trasferiti durante la pandemia, e mi hanno detto che è stato un delirio: non sapevano se e come chiamare qualcuno per trasportare le cose, per esempio. Non dovendo spostare tanti mobili è stato abbastanza semplice per me: ho passato agosto a fare il trasloco e ho trovato una casa che era già stata affittata in precedenza, e ho portato qui le cose con la pandina del mio babbo. È stato fatto a pezzi, e dopo un anno ancora non ho finito! Non riesco a pensare all’idea di un traslocatore, perché non sono organizzata. A volte porto cose qui all’una del mattino».

Secondo te il fatto di essere stata chiusa in casa per mesi, durante il lockdown, ti ha dato la spinta finale?
«Sicuramente. Anche se Prato è una città che mi è piaciuta tantissimo e mi ha accolto molto bene, perché ho conosciuto un sacco di persone interessanti. Io, per dirti, sono di Agliana e ho studiato a Firenze, avevo tutti gli amici fra Pistoia e Firenze, ma non l’avevo mai considerata molto e mi è piaciuta tantissimo. Nel lockdown ho capito che non mi dava più quello che poteva darmi e ho sentito l’esigenza di cambiare, anche perché questa cosa che facevo, che chiamavo l’”anno del paguro”, quando giravo in cerca di nuovi gusci, mi aveva aperto delle possibilità. Forse faccio fatica a sentirmi a casa, per me la casa sono le persone che incontro e non un luogo fisico, e per adesso mi va di cambiare. Ho fatto 15 traslochi: ormai per me non è un evento traumatico. Anzi, mi piace, a parte la fatica. Mi piace l’idea di un nuovo inizio».

Mi dicevi che Roma ti dà tanti spunti nuovi: ha cambiato anche il tuo modo di lavorare o quello è rimasto lo stesso?
«Questa cosa della pandemia in realtà mi ha risucchiato le energie e a livello creativo ho fatto molta fatica a riprendere un ritmo. Mi sentivo svuotata e ho fatto fatica, ma avere stimoli diversi mi ha aiutato a ricostruire questa quotidianità anche nello sviluppare la creatività. Mi ha aiutato, come una palestra. Conosco persone che durante la pandemia hanno creato di tutto, io invece sentivo di non aver voglia di creare niente. Roma mi ha ridato un po’ quell’energia. Poi non so, magari se rimanevo a Prato e potevo uscire funzionava lo stesso. Non è una questione di contrapposizione, è proprio un nuovo sguardo: gli stimoli che danno le città sono diversi anche se è vero che la dimensione più grande offre un numero maggiore di punti di vista. Io poi sono in un quartiere molto popolare, quindi mi hanno già accolto benissimo. Ma mi mancano Uscio e bottega e i suoi panini!».

Che stile hai, e di solito cosa fai davanti a un foglio bianco?
«Domandona! Quello che faccio per i clienti non è quello che faccio per mio diletto, anche se ovviamente ci metto sempre il mio: rispondendo ad esigenze del cliente devo un po’ mediare. Quando faccio le mie cose mi piace usare tanti media diversi, mescolare varie tecniche: non saprei dire che tipo di illustrazione faccio. Per questa cosa di Ethical Fashion delle Nazioni Unite faccio illustrazioni legtae al mondo degli artigiani del Sud del Mondo, e quindi ho identificato uno stile. Qui a Roma ho iniziato a fare anche un corso di After effect per imparare ad animare le illustrazioni».