Che i Marlene Kuntz siano uno dei gruppi più importanti dei nostri anni Novanta, è un dato di fatto. Che siano un gruppo in continuo mutamento non è cosa che scopriamo adesso. Che questo muoversi a volte sovverta certezze alle quali il pubblico si era oramai abituato, non è cosa né scontata né rassicurante.

Una volta, in una conversazione informale, Cristiano Godano buttò lì una frase che mi risuona in testa oramai da parecchi anni: “Non dare al pubblico quello che vuole è segno di onestà intellettuale”. Non ricordo se le parole furono esattamente queste (si parla di oltre vent’anni fa) ma il concetto sì. I Marlene, da questo punto di vista, non corrono questo rischio. Sarebbe comodo per loro, e un po’ forse anche per noi, continuare a giocare con le bacchette infilate tra le corde della chitarra, fare del noise continuo e dei testi che alludono intellettualmente a situazioni sessuali pruriginose, personaggi psicotici o grandi e sofferte nuotate nell’aria. No. Stavolta si inventano una cosa come Karma Clima. Un progetto, un concept, che sovverte dall’interno e dall’esterno ogni punto fermo marleniano.

I Marlene Kuntz saranno al Politeama Pratese giovedì 10 novembre. Un concerto in teatro: non è la prima volta, in quel tour che si chiamava “Cercavamo il silenzio” hanno già suonato al Politeama, ma sappiamo che stavolta sarà un’altra cosa. Ormai ci hanno abituati al fatto che di tour in tour non sai mai cosa aspettarti. Stavolta non si tratta di un concerto rarefatto, in sottrazione: le sonorità dell’ultimo disco sono tutt’altro che scarne, ma si allontanano dai Marlene sonici di Catartica, da quelli fragorosi del Vile e di Paranoia, da quelli scarni di Senza Peso e finanche da quelli elettronici di Uno (ad avviso di chi scrive, ad oggi il progetto più interessante dei nostri, anche se è stato apprezzato molto meno di altre incarnazioni).

Stavolta le chitarre sono in secondo piano. La composizione è partita dal pianoforte. Sono stati utilizzati solo strumenti reali e non succedanei digitali. Stavolta, per la prima volta, c’è un’orchestra (sul disco – non ci sarà dal vivo per ovvie ragioni, anche se il polistrumentista Davide Arneodo farà di tutto per non farcene sentire la mancanza). Sono dei Marlene Kuntz più classicamente articolati. Il mondo dei pezzi di “Uno” è forse quello che ci va più vicino, come voglia di sperimentazione, ma quello era incentrato sul digitale, ed è emblematico che nella scaletta del concerto non ci sia nemmeno un brano, da quel disco lì.

Per i Marlene Kuntz la composizione è sempre stato qualcosa di pudico e privato. Sono sempre stati convinti che al pubblico certe alchimie da sala prove o da foglio bianco non vadano svelate: l’opera d’arte è tale quando è compiuta, i meccanismi che ci portano a questa non è interessante mostrarli. Ricordo che per “Che cosa vedi” la casa discografica, in un piano marketing agli albori di internet, decise che era bello far seguire la composizione del disco mettendo frammenti musicali e testuali che avrebbero portato ai pezzi finiti. I nostri si inventarono di sana pianta quei frammenti in una specie di gioco-burla, che ovviamente non finirono nel disco in questione. Il pubblico rimaneva esterrefatto da quelle anticipazioni, che effettivamente non erano poi questo gran che. Per gioco ci finì anche un frammento di un pezzo che poi diventò davvero una canzone, ma quattro anni dopo (si trattava di “Bellezza”). Stavolta no. Stavolta i nostri hanno realizzato il cuore del disco in tre “residenze” artistiche (Viso a Viso Cooperativa di Ostana, Birrificio Agricolo Baladin Piozzo e Borgata Paraloup, tutte e tre nella zona di Cuneo), aprendo per una giornata quelle sessioni ad un ristretto pubblico che di fatto ha assistito alla composizione e alla registrazione. Qui, davvero, per la prima volta.

È la prima volta che si realizza un vero e proprio “concept” su un argomento preciso. I precedenti progetti dei Marlene Kuntz non hanno mai avuto quest’unità intellettuale. “Karma Clima”, ovvero il clima e il suo karma, che sta presentando il conto ad un’umanità colpevole e distratta. I testi di Cristiano Godano virano tutti verso questa direzione. “Mi sembra che l’umanità vada in una direzione assurda dove solo chi ha i soldi avrà il potere di salvarsi. Ho delle visioni distopiche del futuro che però sono abbastanza concrete e consapevoli. Ci dobbiamo svegliare e presto sui temi ambientali. Non possiamo più aspettare. È un problema che ci riguarda già adesso e non riguarderà solo le prossime generazioni!”.

E i pezzi girano intorno a questo, con la classica sensibilità marleniana. Non avremo mai dei proclami in musica da Godano, questo è certo. Ma che la scrittura si sia staccata dalla sfera dei rapporti per abbracciare i paesaggi della montagna e la loro imminente caducità (Lacrima) un dialogo con un’ipotetica musa della natura (Laica preghiera, in duetto con Elisa) o delle grida d’allarme per quello che potrebbe succedere (L’aria era l’anima), è la prima volta che accade.

E poi c’è “Vita su Marte”, dove è cantata la fantasia bacata di un ipotetico miliardario che pensa a salvare solo lui e quelli della sua casta in una colonia spaziale su Marte, appunto. Caustica e ironica, dileggia chi trova in un rimedio egoistico la sua propria ipotetica salvezza, come nel finale di “Don’t Look Up”. C’è un videoclip, anche questo caustico ed ironico. Apro una parentesi: di fatto della formazione originale sono rimasti sono Cristiano Godano e Riccardo Tesio. Di fatto il bassista Lagash è in formazione da oltre tredici anni, ma si sa, uno può essere nella band quanto vuole, ma se non era presente all’inizio o nei momenti di maggior splendore, viene sempre relegato in secondo piano. Ma Lagash (all’anagrafe Luca Saporiti) ultimamente ci ha sorpreso, anche senza il basso in mano. Nel videoclip di “Vita su Marte” diventa di fatto il complice di Cristiano Godano in un’accoppiata che ricorda molto i duetti da clip di Nick Cave con Blixa Bargeld quando era nei Bad Seeds. Godano ha sempre amato quel tipo di immaginario visivo. Ricordo che anche nel finale del video de “Le Putte” voleva ricreare quel meccanismo con Riccardo Tesio, che però non aveva quella faccia lì, quella faccia un po’ così. Erano tutti e due con un trucco esagerato (Le putte, appunto, anche se il testo parlava delle lettere dell’alfabeto) ma la decadente intesa davanti alla macchina da presa non scattò. Stavolta ci siamo, il gioco tra le due facce da schiaffi in un panorama tra il desertico e il desolante si è compiuto. Karma Clima è servito anche a questo. Chiusa parentesi.

Al Politeama ascolteremo quindi dei Marlene Kuntz alle prese con il suono analogico degli strumenti veri e una scaletta principalmente incentrata sui pezzi di Karma Clima (cinque pezzi dell’album saranno in scaletta) e tutta una serie di pezzi dal repertorio trentennale dei Marlene che ben si sposano se non con i concetti almeno con le suggestioni dell’ultimo disco: da “Ineluttabile” a “Solstizio”, da “Lieve” a “Impressioni di settembre”, da “Sacrosanta verità” a “Come stavamo ieri” a “Grazie”. Come per dire che le rivoluzioni, in qualche modo, partono da lontano. E sì, ci saranno anche “Sonica” e “Nuotando nell’aria”, ovviamente. Ma stavolta rischiano di passare in secondo piano.