Giuseppe Allocca
Giuseppe Allocca

Giuseppe Allocca ha trent’anni e ha sempre fatto l’artigiano. Ma da qualche tempo si è buttato sul teatro e adesso, dopo aver macinato decine di date in tutta Italia e aver vinto il premio Fringe al Fringe Festival di Roma, torna a Prato col suo terzo spettacolo, prima data di un tour che lo porterà ancora in giro.

La sua è una storia che pesca a piene mani dalla tradizione manifatturiera pratese: non solo perché è titolare di un’azienda tessile ma perché la sua attitudine al palcoscenico arriva direttamente dai mercati, da quel rapporto “teatrale” che si instaura tra venditore e acquirente e che si regge sulla comicità e sull’eloquenza. Per questo non si definisce e non vuol essere definito attore, ma artigiano teatrante.

Il 27 gennaio sarà al teatro Fabbretti di Prato con il suo terzo spettacolo, dedicato alla vita di Galileo: “L’Amor che (non) move il Sole”. Mentre lo spettacolo d’esordio, Genesi del rigenero, sta per centrare le sessanta repliche.

Forse all’inizio c’era un po’ di scetticismo intorno ad un giovane imprenditore che di punto in bianco decide di fare teatro?

«Un po’ forse sì, ma adesso le cose stanno cambiando ed è quello che voglio fare nella vita. Il mio sogno è andare un tournee ogni anno con qualche decina di date e in teatri piccoli, che riempi ogni volta».

Riesce a conciliare l’azienda con tutto il resto?

«Si, ce la faccio alla grande. In realtà è in crescita costante. Ora, non vorrei tirami una gufata ma devo dire che ogni anno è meglio del precedente, e allo stesso modo sta andando il teatro».

E se poi il sogno si avvera e arrivano le tourneé quelle vere?

«Allora la ditta la continueranno i miei familiari. In realtà anche l’azienda è un’estensione di me. Alla tourneé dei mercati tengo ancora parecchio. Noi produciamo roba invernale, quindi da fine agosto a dicembre ogni fine settimana siamo in una città diversa e quel mondo lì mi piace tantissimo. Però, e quest’anno è successo, tra mercato e spettacolo, vince lo spettacolo».

“La Genesi del rigenero”, il primo spettacolo, ha vinto il premio Fringe di Roma.

«Un’esperienza bellissima. Ho visto spettacoli bellissimi e il mio spettacolo ha vinto il premio degli addetti ai lavori. Sicuramente è il premio meno importante del festival ma è come se a Sanremo Amadeus, l’orchestra e tutti i tecnici assegnassero un premio. Grandi soddisfazioni».

C’è un nuovo spettacolo in preparazione?

«Sì, ed è la parte più bella. Anzi no, la parte più bella è quando prendi gli applausi a fine spettacolo (ride ndr). Però la preparazione e la scrittura sono una parte molto bella, molto stimolante, molto lunga perché l’obiettivo che più o meno mi sto ponendo è questo: raccontare in modo divertente, comico, cose apparentemente molto complesse e per le quali difficilmente pagherei volentieri un biglietto. Adesso sono in questa fase, ho già identificato l’argomento ma non ho ancora messo a fuoco la storia: leggo e studio finché non mi si accende la lampadina. Compro qualsiasi cosa trovi su un argomento. Per lo spettacolo su Galileo per esempio la lampadina non si è accesa finché non ho letto Brecht. Poi tutte queste cose non finiscono nello spettacolo, sennò durerebbe quattro ore, ma servono comunque: rendono godibile lo spettacolo per chi non ne sa nulla e anche per chi invece ne conosce la storia. Adesso sto studiando il Rinascimento, Vasari, ma non ho ancora capito bene che taglio dargli».

Ma in fin dei conti come è arrivato al teatro?

«Ho fatto una scuola di recitazione a Roma che mi è servita per capire che esisteva il teatro e che sul palco si potevano fare certe cose. Ma io faccio un teatro più di narrazione, per questo non mi definisco attore. Non sono un attore: non ti so parlare in modo diverso da come parlo io. Io faccio mercati da quando ho quattordici anni e la “Genesi del rigenero” è l’evoluzione di quello che raccontavo ai mercati per vendere i miei prodotti».

Ecco da dove viene la definizione di “artigiano teatrante”.

«Sì, all’inizio la Genesi durava mezz’ora, era uno spin off del racconto che facevo ai mercati. Poi mi sono messo a studiare e l’ho ampliato e mentre lo facevo mi è venuto in mente Datini, e quello spettacolo (Col nome del guadagno ndr) parla anche della mercatura medievale, quindi è sempre in tema. Diciamo che i primi due spettacoli erano molto più artigiani che teatranti, il terzo invece, quello su Galileo, è molto teatrante e poco artigiano, perché della mia vita non c’è niente».