Vista dall’aereo Berlino fa un effetto incredibile: una metropoli distesa, senza molti grattacieli, totalmente circondata da boschi immensi, alcuni dei quali sono quelli che separano Berlino da Potsdam, città in cui lavoro, e che attraverso quotidianamente in treno.

Quando arrivi in una  grande città qualsiasi, la prima cosa da fare è sempre procurarsi un biglietto dei trasporti pubblici. Acquisto il mio abbonamento settimanale alla modica cifra di 34 euro. “Mamma mia se è caro!”, penseranno in molti, come pensai anche io.
Ma se poi scopri che a Berlino tutti si spostano o con i mezzi o con la bicicletta e la macchina diventa un surplus o semplicemente un simbolo di ricchezza, capisci che quei soldi li vale tutti. Provate a immaginare.

 

Uscire di casa la mattina e salire su una metro, poi cambiare con un treno regionale, usando, peraltro, sempre lo stesso biglietto, perché il sistema integrato dei trasporti berlinese consente di usare tutti i mezzi che attraversano la città.

Oppure, venerdì notte, dopo aver felicemente bevuto quelle 4 o 5 birre tedesche che, in qualche modo, vanno giù sempre lisce, ed essere andato a ballare in uno delle decine di club che tirano avanti fino al pomeriggio dopo, poter semplicemente prendere una metro, su cui puoi anche appisolarti e farti magari un paio di giri prima di capire che hai passato la tua fermata già 3 volte. E se poi c’è qualcuno che ha voglia di divertirsi anche il durante la settimana, basta avere un po’ più di pazienza e studiarsi il percorso degli autobus notturni.

Il sistema di trasporti berlinese è composto da bus, U-bahn (la metropolitana), S-bahn (treni di superficie, che attraversano la città nel mezzo, da ovest a est), il Ringbahn (un anello che delimita la zona centrale di Berlino, anch’esso parte della S-bahn), i tram di Berlino Est (sapientemente mantenuti e ristrutturati dopo la caduta del muro) e tutti i treni regionali, IC o altro che attraversano la città. La cosa più difficile è imparare i percorsi. Il resto vien da sé.

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Ognuna di queste componenti è gestita da una differente società, ma il biglietto è unico. E’ bello vedere che anche qui le cose non sono sempre perfette. La S-bahn puntualmente si blocca alla prima nevicata invernale, perché si gelano gli scambi (e i berlinesi si lamentano che ancora non abbiano trovato il modo di evitarlo), e i treni regionali della Deustche Bahn (DB per gli amici) hanno spesso 5 o 10 minuti di ritardo, che se capitano di inverno, con meno 10 gradi, possono rappresentare veramente un’attesa lunghissima. Ma come fai a recriminargli il ritardo, quando tutti i treni sono nuovissimi? Quando sei sicuro, nel 90% dei casi, che comunque un treno arriverà? Una volta, dopo che ne avevano soppresso uno senza dire niente, in 10 minuti ne hanno assemblato un altro e l’hanno fatto partire.

La cosa meravigliosa è che veramente non hai bisogno della macchina. E se anche ne dovessi aver bisogno, per fare la spesa familiare o per trasportare un mobile IKEA, c’è un servizio di noleggio auto della stessa DB che ti permette di noleggiare un auto a ore, pagando praticamente solo il costo del carburante e decidendo qual è il  luogo preferito per il ritiro dell’auto. A tutto questo, aggiungete i miseri 1071 km di piste ciclabili che, nel giro di qualche anno arriveranno a 1500. E vi garantisco che i berlinesi vanno in bicicletta anche quando sulle strade c’è la neve!

Due giorni dopo essere atterrato a Berlino, utilizzo la combinazione metro + treno DB per andare a scoprire il campus universitario scientifico di Potsdam, nel quartiere Golm, in cui trascorrerò i miei futuri 3 anni di dottorato. Il Golm ricorda un po’ il polo scientifico di Sesto Fiorentino: è fuori dalla città (anche se, in contrasto totale con Sesto, è collegato benissimo: il treno da Berlino ferma all’interno del campus) e tutte le strutture sono nuove.

Ricordo ancora l’emozione nel bussare alla porta della mia professoressa, l’idea che da quel momento in poi avrei dovuto parlare solo inglese, cominciare la trafila burocratica, dimostrarmi abile e affrontare le difficoltà. Penso di aver sostato di fronte alla porta per qualche minuto, prima di bussare. “Cristian! Welcome! I have a meeting now and I can’t talk to you, but Christoph will introduce you to the lab”. Christhoph, altro dottorando, dal fortissimo (e per me allora incomprensibile) accento bavarese e tanto riservato quanto gentile, mi mostra l’infinita serie di stanze dei laboratori, corredati di tutti i macchinari possibili, che mi sembra davvero di essere in un altro mondo.

Finito il tour, mi incontro con la professoressa, che mi inonda di informazioni e per ogni cosa che mi dice, aggiunge “non ti preoccupare, lo faremo”. Mi informa che a ottobre sarò già indipendente nel lavoro (?!), mi dà una pila di roba da leggere e mi dice che a novembre avremmo avuto il primo meeting del network di ricerca. A Barcellona.

del_campo_profiloRipensando oggi a questo inizio, riesco ancora a rivivere l’adrenalina del momento: la gioia di tutta questa “abbondanza” mischiata al terrore di non essere all’altezza. Ma decidere di partire alla fine è questo: lasciare le proprie certezze per misurarsi con qualcosa di diverso che, alla fine, nel bene o nel male, ti farà crescere.