Finalmente una “quota rosa” a Piesse! Ecco a voi, ladies and gentlemen, Valeria Vio con il suo “Sogno d’Amore” (se il mio tedesco non fa così tanta acqua… ma la conferma arriva anche nel testo!). Il racconto (a nostro parere almeno in parte autobiografico, ma non abbiamo verificato presso l’autrice, per cui se non è vero scusaci Viola… ops, Valeria) si snoda con una prosa elegante e composita, uno stile, davvero si potrebbe dire, “femminile” (confrontatelo con quello dei suoi colleghi maschietti che l’hanno preceduta e capirete cosa intendo), e una profondità appena appena celata da un velo di tristezza. A voi il racconto, e poi i commenti.

 

Liebestraum

Viola si era alzata all’alba per colpa dell’ansia che accompagnava la consegna, sempre più imminente, di un racconto che non voleva nascere. Erano settimane ormai che si arrovellava sul senso, sulla struttura, e siccome i ritmi frenetici della città in cui viveva non parevano aiutarla, decise di ritirarsi qualche giorno al mare dai suoi. Stava scendendo le scale che portavano al salotto facendo attenzione a non svegliare nessuno per cui sussultò quando si rese conto che c’era chi si era alzato ancora prima di lei. Era Gregorio, il suo padre putativo, che stava seduto elegante e composto davanti al suo pianoforte e allo spartito che conosceva a
memoria. La loro convivenza in quella casa era iniziata vent’anni prima, quando Viola era stata svegliata nel cuore della notte dall’urgenza romantica di Gregorio, piombato in casa sua con un mazzo di rose e una promessa d’amore per sua madre. Anche allora, quando Viola era arrivata in salotto per capire cosa fosse successo di tanto urgente, lui era già lì. E come allora, anche quella mattina, Viola si fermò in disparte ad osservarlo e lì rimase, certa di non essere vista, immobile, mentre aspettava che lui suonasse il loro brano preferito.

Gregorio suonò l’introduzione immergendosi nella sua armonia e trascinando con sé Viola che subito sprofondò nel ricordo di loro due che quell’aria l’avevano canticchiata milioni di volte, insieme o divisi, per sentirsi più vicini. Ma poi la musica d’improvviso cessò e le mani di Gregorio, anziché stare sul pianoforte, cingevano le sue.
– Che fai qui impalata?
– Scusa Gula –, e si affrettò a cercare una giustificazione alla sua presenza. Lo chiamava con quel nomignolo ogni volta che si sentiva in difetto o aveva qualche pensiero di troppo che la preoccupava e lui ormai lo sapeva. Sapeva che quello era un SOS, una richiesta d’ascolto, per cui la sollevò con forza dal suo nascondiglio e, cercando di farla sorridere, le disse: – Perché quest’espressione compassionevole? Mi guardi come se fossi un vecchietto rattrappito. Vieni con me, ci sono molte cose che devo ancora mostrarti. –

Scesero di corsa le scale, infilandosi un cappotto al volo e precipitandosi verso il centro del paese dove la vita, seppur lenta e ripetitiva, aveva già cominciato ad agitarsi.
– Questa è l’ora migliore, vedrai. Non c’è nessuno e si respira un’aria surreale. –
Si ritrovarono dopo poco nella sala del Comune in cui Gregorio aveva allestito una mostra con le fotografie dei suoi allievi. Viola sapeva dell’iniziativa e quando Gregorio aveva avviato il suo corso, anche lei, seppur a trecento chilometri di distanza, ne aveva iniziato uno. Dentro di sé sapeva che avrebbe preferito che il suo insegnante fosse Gregorio, così come lui avrebbe tanto voluto poter esporre anche una foto di Viola. Per un attimo entrambi percepirono la mancanza reciproca e un po’ di rabbia per una vita che, dopo averli fatti incontrare, li aveva allontanati, ma tutto svanì non appena varcarono la porta di quella sala. Viola avanzò tra le stampe con passo timido e rispettoso, come se a guardarla e farsi guardare non ci fossero solo delle semplici foto, ma delle creature in grado di emanare e percepire emozioni.
– Che ne pensi? – chiese lui.
– Sono stupende, degne figlie del loro padre. – rispose lei.
Poi vide in lontananza una foto in bianco e nero che ritraeva due silhouette danzanti leggermente fuori fuoco e avvolte da un affascinante pulviscolo. Era un po’ nascosta rispetto a tutte le altre.
– Non volevo che fosse troppo invadente. – spiegò Gregorio.
– L’hai fatta tu? –
– Si.
– E come l’hai chiamata? –
– Sogno d’amore. –
– Come il brano di Listz… Hai ragione, sembra davvero di spiare un sogno.
Ci fu un attimo di silenzio profondo durante il quale entrambi sentirono suonare dentro di loro l’armonia appena evocata. Respirarono insieme l’incanto generato dalla passione che li univa, in quell’atmosfera che aveva davvero qualcosa di surreale, e, intimamente e senza doverselo dire, si rasserenarono, ritrovandosi più uniti e vicini di tante altre volte. Per evitare che la giornata prendesse una piega troppo malinconica, Gregorio avvolse Viola in un abbraccio e la portò via, di corsa, di nuovo, a scoprire qualcosa che avevano amato e condiviso anche più della musica e della fotografia. Una passeggiata veloce, una boccata d’aria salina, riscaldati da un sole che lì era sempre più mite. Da quando si vedevano solo in occasione delle feste comandate, era diventato quello il loro piccolo rituale, il momento in cui si ritrovavano per raccontarsi e conoscersi un po’ di più. E proprio durante la loro ultima passeggiata si era insinuata in Viola la paura che l’apatia che si incollava addosso a tutti gli abitanti ultrasessantenni di quella cittadina stesse per contagiare anche il suo Gula. Lo aveva visto meno entusiasta del solito, quasi rassegnato, con un incedere lento e una predisposizione anche eccessiva ad ascoltare, tipica più di coloro che non hanno niente da dire che di Gregorio. Ma ora pensava di essersi sbagliata, di aver lasciato troppo spazio alla paura di perderlo e di aver mal interpretato. Gregorio le aveva appena dimostrato che la voglia di fare e la determinazione che aveva avuto da giovane gli appartenevano ancora e anzi, più di allora, lo animavano e lo tenevano ben aggrappato alla vita. “Non si invecchia mai se si conserva dentro di sé una passione”, glielo aveva detto proprio lui d’altronde. Viola pensava a tutto questo con un sorriso che si faceva sempre più evidente sul suo volto e nel frattempo, senza che se ne accorgesse, Gregorio l’aveva condotta a una cantina piena zeppa di cimeli, ricordi e qualche cianfrusaglia.

Viola si immaginava che Gregorio avesse riordinato tutto secondo criteri precisi e scrupolosi, ma quello che vide andava ben oltre la sua immaginazione. Su una parete laterale erano esposti tutti i coltelli che Gregorio aveva collezionato durante i suoi innumerevoli viaggi. Su quella di fronte, si susseguivano, dentro ad eleganti cornici, riproduzioni di foto famose e altre scattate da Gregorio stesso. Impilati uno sopra l’altro c’erano i bauli che custodivano le sue collezioni di vinili e spartiti. Di fronte a Viola e al suo sguardo esterrefatto si stagliava poi, alta fino al soffitto, una scaffalatura di legno i cui ripiani erano zeppi di libri di ogni genere e forma. Gregorio li aveva letti tutti e Viola, sulla base dei suoi racconti, se li era sempre immaginati così, come lui glieli stava presentando: ordinati per mese o anno di lettura, un po’ più alti e un po’ più bassi, ma tutti facili da prendere in qualsiasi momento perché per Viola come per Gregorio era importante poter recuperare un libro a cui si è affezionati in qualunque momento.
Rimase imbambolata, di nuovo rapita dalla potenza della passione che Gregorio aveva assorbito e trasmesso in uno scambio quasi reciproco con ogni singola pagina letta.
– Ce ne sono tanti – le disse, – e se vuoi puoi prenderli tutti, ma ce n’è uno in particolare dal quale vorrei che tu cominciassi. –
Glielo aveva già incartato in un foglio di giornale richiuso con uno spago e un bel fiocco. Glielo diede e le disse di aprirlo solo una volta che sarebbe stata da sola, facendo molta attenzione a quanto vi avrebbe trovato scritto dentro. Poi prese dalla tasca del cappotto un lettore mp3 con due auricolari che le mise tra i capelli premendo Play.

Suonava di nuovo Liebestraum di Listz, il loro Listz, quello del Sogno d’amore su cui si erano immaginati che ballassero i due amanti della foto, quello che a un certo punto cessò improvvisamente costringendo Viola a risvegliarsi di soprassalto a trecento chilometri di distanza da Gregorio, dalla casa in cui avevano vissuto e in cui tutto aveva avuto inizio. Viola si ritrovava nel suo appartamento da sola, abbracciata a un romanzo di García Marquez e con il Sogno d’amore che le rimbombava nella testa. Non capiva. Poi dal libro vide spuntare un foglio bianco battuto a macchina ma firmato a penna.
Ci sono molte analogie tra la musica, i suoi andamenti, e la scrittura, il periodare. Fatti guidare dalla musica che hai dentro, prendi nota di ogni sensazione che esso genera in te. E così come il danzare, vedrai, anche scrivere ti verrà naturale.
Con affetto,
Gula

Valeria Vio