E’ a firma Luigi Cappelletti questo stralunato racconto che prende il titolo dal nome del micio del protagonista. Un lampo veramente breve, uno squarcio di strana umanità raccontato con una prosa interessante per quanto scarna (peraltro è da notare come molti dei racconti che ci arrivano siano incentrati su problematiche legate allo squilibrio, alla solitudine, alla droga, alle deviazioni… sembrano essere temi molto cari ai giovani scrittori del 2014…). Inutile scrivere altro da parte nostra, il racconto parla da sé.

Foffo

«Foffo, Foffo! Dove ti sei ficcato? Vieni qua che è pronta la pappa…» Provò a scuotere la scatola dei croccantini: era un richiamo che a volte aveva funzionato, ma non oggi.

Quando avrà fame si farà vedere, pensò.

Era il primo giorno del nuovo anno, credeva spettasse anche a lui festeggiare con un lauto pasto. Non che gli altri giorni rimanesse a digiuno o mangiasse avanzi, non lo aveva certo abituato male.

Foffo, il primo, e anche unico, cucciolo che aveva accolto in casa era, come si usa dire per i figli unici, viziatissimo; solo scatolette di tonno con almeno il 55% di pesce e suoi derivati. La bestiola non era interessata a mousse, dadini e truciolati vari. Le poche volte che, più per sbaglio che con l’intenzione di fargli dispiacere, era tornato a casa con scorte alimentari non di suo gradimento il suo imponente gattone rossiccio aveva immediatamente proclamato lo sciopero della fame. Riusciva a osservare il digiuno con uno zelo così radicale da costringere “il suo padrone” a regalare ad altri le scatolette sgradite e a fare nuovi approvvigionamenti.
«Foffo! Che stamattina non hai fame?»
In realtà non era il suo vero nome ma un diminutivo, inizialmente l’aveva battezzato Adolfo, un po’ per un suo vecchio zio e perché aveva uno spirito sarcastico che lui stesso a volte faticava a comprendere. Quel nome non era piaciuto all’animale, che aveva ben presto fatto capire di essere disposto, sebbene saltuariamente, a rispondere a un richiamo più conciso.
Foffo, pensò potesse andare bene.
«FOFFO!!!» maledetta bestiaccia. «Tonno, surimi di granchio e papaya: che ne dici?» Niente, non rispondeva. Non era poi così strano, da quando aveva lasciato il suo vecchio appartamento − un grazioso minimal loft (o monolocale) dove aveva sprecato allegramente i migliori anni della sua vita − per andare a vivere in una piccola villetta fuori (troppo fuori) città, era diventato molto più difficile trovare i suoi nascondigli; prima era tutto più semplice: non aveva modo di nascondersi. Non era certo per Foffo che aveva deciso di vendere il monolocale in città per spostarsi in campagna, la scelta si era imposta con l’arrivo di lei e con l’intenzione di allargare la famiglia.

Lei, però, un giorno se n’era andata.

Questa era la risposta, sempre la stessa, che dava a chi gli chiedesse, con intenzioni ben più indiscrete, che cosa fosse successo: «LEI SE NE É ANDATA.» Sapeva benissimo come stoppare certi discorsi quando voleva, nessuno avrebbe mai potuto accusarlo di logorrea…

Lei se ne era andata, davvero, sparita. Un giorno, senza spiegazioni, non se l’era più trovata accanto nel letto, forse si era stancata di aspettare, o della sua vita. Forse. Neanche Foffo l’aveva presa bene, amava stare in compagnia e lui invece era spesso fuori per lavoro.

«Allora! Vuoi venire a mangiare?! Poi non ti lamentare se trovi il cibo congelato! É capodanno, lo sai? Stupida bestia!»
Già, ormai era il secondo (o terzo?) che passava senza di lei e comunque da solo; non aveva più alcun interesse per quello che succedeva nel mondo, se ne fregava. Ma le sante feste, specie quelle più “pesanti”, sembrano fatte apposta per farti ritornare in mente chi non c’è più e oggi, per questo, non era un buongiorno.

«Adesso ti vengo a cercare!» Tanto per quello che ho da fare oggi, pensò, posso mettere a soqquadro tutta la casa.
In quel momento in lontananza, sentì le sirene spiegate di un’ambulanza che si avvicinava, il suono diventava sempre più insistente, quasi intollerabile. Poi, finalmente, passò oltre. Fu allora che cominciò ad ansimare senza apparente motivo, come in cerca d’ossigeno; dopo qualche istante, così come era iniziato, quello strano malessere finì e non ci fece più caso.

Per le ricerche partì da dove si trovava, dall’esterno, ben sapendo però che difficilmente lo avrebbe trovato all’aperto con quel freddo. Foffo era un gatto profondamente domestico e, dopo il trasloco, la novità del giardino non lo aveva turbato più di tanto. Poi andò giù in taverna, o per meglio dire al deposito, per l’uso che ne era stato fatto. Era sicuramente il posto più arduo per scovare Foffo, ma lui iniziava sempre dal difficile; era
il suo modo di procedere, sempre.

In deposito, tutto quello che sarebbe potuto tornare utile era stato accatastato in maniera ordinata ma stranamente precaria, all’interno del camino un posto speciale se l’era meritato il vecchio amplificatore semi-valvolare, la custodia della sua Eko s300 Sunburst, era appoggiata davanti a un divanetto che doveva rimanere libero: ogni tanto lì suonava ancora.

Guardò dappertutto ma del gatto nessuna traccia.

Driiin! Driiin! Suonarono alla porta. Guardò dallo spioncino e vide un ragazzo con un abito elegante e una cartellina in mano.
«Buongiorno, devo fare un controllo della sua bolletta elettrica.»
«Eh?»
«Sì, verificare i suoi consumi dell’ultimo mese.»
«…Ah…»
«Per farla risparmiare! Dietro la porta non la sento bene…»
«Non ho detto molto infatti.»
«Non mordo non si preoccupi!»
Pure spiritoso. Si girò e tornò alla sua ricerca. Sentì il venditore suonare un altro paio di volte, poi borbottare qualcosa; alla fine desistette. Cercò quindi in cucina, nel soggiorno, in camera da letto e in bagno. Ogni angolo della casa fu perlustrato: era capodanno ma lui non aveva molto da fare.
Alla fine, rassegnato, si fermò per una pausa nel soggiorno, si fece una sigaretta cercando di focalizzare quali posti avesse tralasciato. Guardò in alto, per caso, sulla libreria dove aveva sistemato decine di soprammobili, perlopiù regali di pessimo gusto.
«Foffo! Cosa fai lassù?»
Sì allungò per accarezzarlo, sentì il pelo fulvo folto e gelido, ritirò la mano, nel palmo gli rimase appiccicata una polvere spessa, antica. Foffo lo guardava, gli occhi fissi, inorganici, vitrei.
Deglutì.

Luigi Cappelletti