Venerdì 30 Maggio (Dìa 2)
Il secondo giorno di festival inizia con un temporale che coglie quasi tutti di sorpresa. Non i provvidenziali abusivi che oltre alle sottomarche di birra oggi riescono a spacciare ponchos colorati e ombrelli di carta.

Optiamo per un bianco trasparente nude-look e ci infiliamo attraverso i varchi d’ingresso. Siamo già fradici nel breve tragitto che ci porta verso il Pitchfork Stage dove sta concludendo la sua esibizione Joana Serrat, bravissima cantautrice catalana che con la sue melodie intime ed evocative saluta l’arrivo di un timido sole. Si apre un doppio arcobaleno sul mare di Barcellona ed è di nuovo Primavera.

Al Ray Ban Stage è il turno del pittoresco Dr. John. Avanza claudicante sui suoi bastoni d’osso e piume verso il centro del palco dove viene letteralmente depositato tra un piano classico e un nord stage. Ma  The Night Tripper è una specie di leggenda, un musicista eclettico che ha suonato con i più grandi del Jazz e del Rhythm’n’blues, il pubblico lo sa e lo rispetta. Suona magnificamente supportato da una strepitosa band.

Ci muoviamo verso i due palchi principali dove all’Heineken hanno appena iniziato le Haim, tre talentuose sorelle tutto pepe e percussioni della San Fernando Valley. Il loro indie pop frizzante con una decisa impronta black ci scuote dal torpore narcotico del Dr.John ma sfortunatamente l’effetto dura solo il tempo di girarsi verso il palco opposto.

Sul Sony stage infatti gli Slowdive ci propinano atmosfere rarefatte di chitarre distorte e feedback infiniti. Il gruppone post-rock di Reading si è appena ricostituito dopo venti anni di inattività, giusto in tempo per farci addormentare durante la digestione dell’oramai classico hamburger atomico festivalero. Stesso palco e stessa ora dei Midlake, per chi crede alle coincidenze.

Un inizio esplosivo a base di successi come Bone Machine  e  Wave of Mutilation segna il ritorno dei Pixies a Barcellona alla loro terza presenza al Primavera. Al basso stavolta c’è Paz Lenchantin che sostituisce la storica Kim Deal. Frank Black, sempre più tondo, appoggia la chitarra sul cocomero e prova a lanciarsi in tre brani dell’ultimo album, Indie Cindy prima di rifugiarsi nuovamente nei grandi successi come Debaser e  Monkeys Gone To Heaven e concludere – come Peter Norton in Fight Club – con Where Is My Mind.

Noi ci siamo fatti furbi e siamo già sotto il Sony Stage stavolta a ridosso del palco dove alle 0.30 spaccate salgono i The National. Sono nervosi, il sound non è perfetto, vogliono strafare infilando 20 pezzi in un’ora e quaranta. Ma sono una delle poche band che può suonare quasi tutto l’ultimo album (Trouble Will Find Me) senza rischiare di annoiare il pubblico (cfr. Pixies).

Matt Berninger, stavolta non si ubriaca come di consueto. Nelle interviste sostiene che usa l’ebbrezza “per cercare di entrare emotivamente nelle sue canzoni”. Riesce comunque a schiantare emotivamente un paio di microfoni sul palco, lanciarne due sulle prime file, scendere due aste e diluviare un paio di birre medie sul pubblico.

Finalmente la band si rilassa e riprende fiato con la tenera I Need My Girl, e da quel momento assistiamo ad un altro concerto. Sul palco si affacciano anche Justin Vernon dei Bon Iver e Volcano Choir per Slow Show e uno smarrito Hamilton Leithauser che osserva il cantante dell’Ohio lanciarsi sulla folla durante Mr. November. Chiudono con Terrible Love con Matt che per la terza volta si tuffa sul pubblico in deliro e schianta l’ultimo microfono.

Mentre ci avviamo verso l’uscita sull’Heineken Stage i !!! (chk chk chk) fanno saltare migliaia persone con il loro travolgente dance-punk. Nic Offer si muove come Ace Ventura e sfida in shorts e camicia del pigiama il freddo umido che è calato sul Parc del Forum. Noi ci chiudiamo nei nostri ponchos trasparenti e torniamo verso El Borne.