Mimmo Modugno era un autore rivoluzionario e reazionario nello stesso momento. E’ storia il fatto che con l’urlo liberatorio di Volare abbia di fatto scardinato tutti i principi della bella canzone italiana che vigevano fino a quel momento, ma è anche vero che in quella tradizione, in quegli stilemi che lui stesso aveva superato con quell’intuizione geniale, lui ha continuato a sguazzarci per tutta la sua carriera.

A rileggere Modugno si va dal comico al tragico, dal sublime al grottesco, dal bello puro al trash. E con Ginevra di Marco e Bobo Rondelli, in un Anfiteatro del Pecci stracolmo ieri sera, il viaggio emozionale è stato completo. La formula è pressoché la stessa di un altro tributo passato al Pecci l’anno scorso, quello a Sergio Endrigo fatto da Simone Cristicchi: l’orchestra I Nostri Tempi diretta da Edoardo Rosadini ha arrangiato un mucchio di canzoni (e la scelta non è stata tra le più scontate: diversi i pezzi non conosciutissimi, bellissima la rilettura di “Come stai” ad esempio), e le rispettive band dei due cantanti hanno fatto il resto. Ginevra e Bobo il Mimmo nazionale lo conoscono bene, lo affrontano da anni, su disco e dal vivo, e la scelta di aprire con Notte di Luna Calante e Amara Terra Mia (già incise rispettivamente da Rondelli e dalla Di Marco alcuni anni fa) è quasi una dichiarazione d’intenti: questo è il Modugno che conosciamo, passiamo ad altro.

Gli arrangiamenti orchestrali e le voci di Ginevra (a volte da pura interprete tradizionale, nel senso di “tradizione”, di terra, di sangue)e di Bobo (praticamente un clone di Modugno, per certi versi più reale dell’originale) ci hanno proiettato quasi in un’atmosfera da Studio Uno, da show televisivo in bianco e nero, di quelli belli ed eleganti: nessuna nostalgia, se mai desiderio di riscoperta.

GUARDA ANCHE: 5 video estratti dal concerto.

Curioso che il lato comico di Modugno sia stato affrontato più da Ginevra (“Tango d’Amore”, “Pasqualino Maraja”) che da Bobo, che comunque ci ha regalato un momento da brividi chitarra e voce con “Libero” e “Vecchio frack”, versioni scarne ed intensissime, e non ha rinunciato a fare il Bobo gigione imitando Mastroianni e Tognazzi nell’intro parlato de “La Lontananza” o quando hanno duettato in “Siamo rimasti in tre”, da Rinaldo in Campo, dove Ginevra faceva la parte di Modugno e Bobo quella di Franchi e Ingrassia, tutti e due . Conclusione con “Malarazza”, probabilmente la più autentica canzone rivoluzionaria mai scritta in Italia, quella del Cristo che incita alla rivolta, “pigghia lu bastuni e tira fora li denti”, con Ginevra alla voce e Bobo al ballo dell’orso.

Il gran finale, dopo i bis tratti dai rispettivi repertori dei due (“Amandoti” e “Montesole” per Ginevra, “Madame Sitrì” e “Il cielo è di tutti” per Bobo, uniche incursioni extra Modugno) non poteva che essere con una Nel Blu Dipinto Di Blu buttata in burletta. E probabilmente rimane l’unico modo di affrontare un pezzo sul quale tutti hanno già detto tutto da quasi sessant’anni. Una gran bella serata.