Ancora una volta gli Afterhours a Prato hanno sfidato la pioggia, e ancora una volta hanno vinto, come ventun anni fa. Hanno vinto di potenza, le nubi hanno timidamente rinfrescato una Piazza del Duomo affollata e caldissima ma non ce l’hanno fatta a guastare quella che è stata una vera e propria festa del rock. Una festa non facile, non accomodante, ma comunque assolutamente partecipata e carica di adrenalina, come ad un concerto degli Afterhours si richiede.

La potenza entra in campo poco prima delle 22. Gli Afterhours si schierano sul palco granitici, a zona, ognuno nella propria postazione, difficile smuoverli. Ognuno nel proprio suit, nel proprio vestito elegante da (piccole?) iene. Ognuno nel proprio ruolo, ognuno a gestire il proprio spazio, il tutto sottolineato da un disegno luci geometrico, squadrato e definito. Questo tour fa da corollario alla riedizione del loro disco più importante (e senza dubbio uno dei dischi seminali del rock italico), quell’Hai Paura Del Buio? datato 1997. Diciassette anni fa. Non hanno aspettato nemmeno una cifra tonda per festeggiarlo, tanta era l’urgenza.

Se la riedizione vede la rimasterizzazione dell’album originale e una re-incisione dei pezzi con ospiti illustri, il concerto vede, per tutta la prima parte, l’esecuzione integrale della scaletta del disco. Un’esecuzione, come ho sottolineato prima, di potenza, nell’immagine e soprattutto nel suono. In diciassette anni il suono del gruppo di Manuel Agnelli si è evoluto, è mutato, si è complicato, e certe velleità pop hanno lasciato il posto – specialmente dopo un disco ostico, esplosivo e deflagrante come l’ultimo Padania – a una rilettura anche dissonante e stridente di certi classici (penso ad un’ Elymania la cui linea di canto è supportata da un’armonia assolutamente avulsa al cantato).

Il disco viene suonato per intero, ma non siamo nel 1997: siamo nel 2014, non dimentichiamocelo. Siamo tutti molto più scafati, molto più disincantati, meno inclini a compromessi. Il disco viene presentato come un blocco di marmo, senza pause: non è una celebrazione, è quasi una riflessione su quanto in questi anni siamo cambiati. E quello che esce dalle casse è pura potenza (di nuovo), puro godimento. Dall’inizio alla fine.

E infatti proprio sul finale di “Mi trovo nuovo”, ultimo pezzo del disco (e raramente suonato dal vivo, così come l’accoppiata Questo pazzo mondo di tasse e Musicista contabile, con parti trasformate in vere e proprie improvvisazioni noisy) c’è una sorta di “rompete le righe”, in cui il gruppo abbandona il proprio spazio e riabbraccia l’iconografia e la coreografia propria del concerto rock Poi, il secondo blocco, interamente dedicato ai pezzi dell’ultimo disco, nella loro complessità e nel loro spirito quasi settanta. E l’ultimo blocco, quello dei bis veri e propri. Strategie, La verità che ricordavo, Non è per sempre, Ballata per la mia piccola iena, La sottile linea bianca, Quello che non c’è, Bye Bye Bombay. Impossibile, criminale chiedere di più. C’è chi su facebook ha commentato, non a sproposito, “credevo di morire”. Tutti cantavano, anche il sindaco Biffoni (che, a dire il vero, conosceva a memoria anche le meno note). Gli Afterhours a Prato hanno lasciato il segno e una dimostrazione: il rock a Prato è possibile portarcelo. Anche quello meno accomodante o mainstream. Probabilmente i tempi sono maturi per quel festival rock di cui, appunto, Manuel Agnelli e il sindaco Biffoni stavano parlando proprio il giorno precedente.