L’italiano agli stranieri? Va insegnato anche attraverso le canzoni di De Gregori, Paoli, De Andrè, Battisti e Gaber. È una proposta che nasconde un mondo quella lanciata da Renzo Arbore nel corso degli Stati generali della lingua italiana in corso in questi giorni a Palazzo Vecchio, Firenze, iniziativa voluta dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale in collaborazione con Miur e Mibact. “La canzone italiana – ha detto Arbore – può essere un veicolo straordinario di diffusione, anche solo leggendo i versi meravigliosi dei grandi che hanno fatto la musica nel Novecento”. Se poi a insegnare la lingua agli stranieri potranno essere finalmente solo ed esclusivamente gli insegnanti certificati, allora il risultato non potrà che essere questione di tempo.

Cultura italiana, metodi giusti per insegnarla e in particolare professionisti con la P maiuscola che la sappiano veicolare in maniera permanente sono infatti gli argomenti al centro della discussione fiorentina. Il tentativo è quello di approfondire le strategie di diffusione dell’italiano all’estero e di fare il punto, in modo costruttivo, sulle nuove sfide da affrontare, in contemporanea con l’avvio della XIV Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Coinvolta è tutta la rete culturale e diplomatica del ministero degli Affari Esteri, che tende a precisare come non si tratti di “un evento celebrativo, ma di una manifestazione che si situa all’interno dell’azione strategica di promozione dell’intero Sistema Paese da parte della Farnesina”.

Scuole e università, docenti e allievi, studiosi e ricercatori, enti gestori dei corsi per le comunità italiane all’estero, ambasciate, Consolati, lettorati e istituti italiani di cultura. Ma non solo. Numerosi sono anche gli ospiti presi dal mondo dell’industria, dello spettacolo, dell’impresa, della cultura. Da Renzo Arbore, appunto, a Dacia Maraini e Gabriele Lavia, artisti che hanno esportato romanzi, spettacoli o concerti girando il mondo e promuovendo la cultura italiana.

I temi discussi nelle sessioni plenarie sono di quelli pregnanti: le nuove sfide e i nuovi strumenti della comunicazione linguistica; le strategie di promozione linguistica per le diverse aree geografiche e per i Paesi prioritari; il ruolo delle Università con particolare attenzione alle cattedre di italianistica; il ruolo degli italofoni e delle comunità italiane all’estero; la gestione e gli strumenti della promozione della lingua italiana.
Un evento necessario, questo, sia per diffondere la consapevolezza della forza dell’italiano, che per indicare possibili strategie aggiornate e condivise. E se poi queste giornate servono per far promettere al ministro Stefania Giannini che finalmente anche l’Italia istituirà ufficialmente la figura dell’insegnate di L2 (italiano come seconda lingua), allora ben vengano gli Stati generali. Sì perché finora è bastato parlare italiano e avere una laurea o un diploma magistrale per poter insegnare a chi non parla una parola d’italiano. Lo ha sottolineato anche Giannini. “Non basterà essere italofoni per insegnare la lingua italiana. Non possiamo trascurare che la lingua deve essere uno strumento di integrazione – ha precisato il ministro – per questo istituiremo una nuova classe di concorso per formare docenti che insegnino l’italiano come seconda lingua ai bambini figli di immigrati”. È questo che infatti ha dichiarato il ministro Stefania Giannini, inserendo questa novità nel pacchetto LABUONASCUOLA.

Sì perché il nostro Paese non ha bisogno di istituire percorsi di formazione specifici per insegnanti di L2, perché già esistono dei certificati ad hoc come il DITALS, c’è solo bisogno che questi diventino condizione senza la quale sia impossibile insegnare l’italiano agli stranieri. Farlo implica una preparazione particolare e molto approfondita che scongiuri fallimenti e risultati demotivanti, finora snobbati dai legislatori.  E infatti il ministro ha ammesso che “finora il nostro paese ha fatto poco, non ha ancora sviluppato tutta la sua potenzialità soprattutto per paesi che guardano a noi come interlocutore economico, politico, ma soprattutto formativo”. Per questo serve una nuova generazione di maestri e prof di italiano, formati per insegnare la lingua ai figli di immigrati. E non finisce qua: “Mi sembra giusto legare la cittadinanza all’istruzione, già in passato avevo parlato di uno ius soli et culturae. L’italiano deve diventare strumento d’integrazione per bambini che devono riconoscersi nel nostro Paese, sentirsi italiani come già sono”.

Una buona notizia, dunque, anche per Prato. Comune e Provincia hanno da tempo mostrato sensibilità e apertura in materia. Essendo diventata ormai da anni la prima provincia d’Italia per incidenza di alunni stranieri sul totale degli iscritti (nell’anno scolastico 2013-2014 si contano 7080 alunni stranieri, il 19,9 percento dell’intera popolazione scolastica) l’assessorato aveva anche istituito una graduatoria interna degli insegnanti di L2 in base alle certificazioni apposite. Graduatoria che è stata demolita a forza di ricorsi di cooperative varie, in quanto non protetta da nessuna legge statale. Che si spera arriverà presto. Il diritto allo studio ha bisogno di essere tutelato anche in nome di un’integrazione che passa per forza dalla lingua e della cultura.