Senza neppure porre la fiducia, stasera le mie cellule hanno deciso all’unanimità di dirigersi verso il Blackout, dove suoneranno gli Zu. Finalmente un mercoledì da leoni, senza surf, ma con la voglia di onde sonore che si infrangano violentemente sui timpani. Gli Zu sono una delle band nostrane più rispettate in Italia ed all’estero, e non potrebbe essere altrimenti, visto il loro stile indiscutibilmente originale, sperimentale e fuori dagli schemi, ma allo stesso tempo lontano da intellettualismi e pretese. Jazz, punk, noise, mathcore, sono solo alcuni generi che si possono accostare a questa band indefinibile, ma dalla personalità fortissima ed unica, subito riconoscibile; d’altronde non capita tutti i giorni un trio basso, batteria e sax che proponga questi generi. Insomma se pensate ancora che Zu sia un paesino sul Gennargentu, probabilmente vi siete persi qualcosa di importante.

Il primo impatto con questa serata quasi estiva è con un gruppetto di tossici che canta sguaiatamente una canzone della Pausini, facendo così piangere i Velvet Underground. Cerco di non arrabbiarmi e di raggiungere velocemente il Capanno, che ha imposto sull’evento orari ben precisati ed inderogabili, finalmente, dato che in questa serata infrasettimanale suoneranno anche Stefano Pilia e gli SJ Esau. In realtà si nota subito un po’ di ritardo, quindi ne approfitto per scambiare due parole col fonico, che mi confessa la previsione per cui stasera l’impianto esploderà. Molto bene, dico io, mica siamo ad un corso di cake design con Benedetta Parodi.

Venti minuti dopo l’orario stabilito, gli SJ Esau iniziano a suonare di fronte ad una platea già piuttosto nutrita. Questa band inglese è un duo i cui membri sono un batterista scalzo ed un cantante chitarrista già visto in ‘Gummo’ di Harmony Korine. Il loro è uno stile indie sperimentale, fatto di campionamenti in diretta e strumenti elettronici non convenzionali, tanto che a tratti pare di ascoltare i Sonic Youth durante una seduta dal dentista. Il loro atteggiamento informale, gli sforzi nel riuscire a pronunciare “grazie” invece di “grazi” e soprattutto le canzoni inusuali e curiose, convincono giustamente il pubblico. Un gruppo interessante, forse dal vivo un po’ approssimativo, tenendo conto che Gummo è alle prese con cento cose a cui badare simultaneamente, tra effetti, campionatori, microfono e chitarra. Il loro concerto si protrae per quasi un’ora, galvanizzati come sono probabilmente da questa prima esperienza italiana, dal pubblico numeroso e da un palco che spacca.

Cambio palco più veloce che mai per Stefano Pilia, chitarrista dei Massimo Volume, al quale bastano una sedia ed una chitarra. Con lui il livello di sperimentazione rimane alto, Pilia esordisce con un archetto al posto del plettro, proponendo una musica ambient strumentale, ricca di effetti che riempiono la sala ormai piena. Tutte le canzoni sono legate tra loro in un unico flow, ma comunque ben diverse nei suoni. Pur essendo da solo, Stefano Pilia riesce a spaziare fra ambienti musicali diversi, fino a sonorità country, senza mai annoiare, proponendo un set di mezz’ora circa.

Finalmente, sono già mezzanotte e trentacinque, arrivano gli Zu sul palco, tre mostri buoni: Luca Mai al sax baritono, Massimo Pupillo al basso e Gabe Serbian alla batteria, già membro dei Locust. Nel totale della serata arriviamo a sei musicisti, altro che Slipknot. La prima nota del concerto è una mazzata di magnitudo Nepal che mi fa venire i brividi; d’altra parte ci sono solo sedici coni nella backline del bassista, per di più amplificati al massimo. Mi risuonano le parole del fonico mentre gli Zu propongono le nuove canzoni di ‘Cortar Todo’. La T-shirt dei Buffalo Grillz confersice a Luca Mai un’aura ancor più tosta, mentre soffia in quel sax come un pazzo. Lo show è travolgente, non è la prima volta che li vedo, ma stasera il palco e l’atmosfera rendono davvero giustizia a questa band. Il Blackout è pienissimo, il pubblico è mediamente sulla trentina, se non di più, ma se ne frega proprio dell’orario in favore di questa musica davvero di grande qualità ed intensità: fa piacere notare che il pubblico locale apprezza in massa uno stile ricercato, in barba a chi dice che le cover band tirano gente; Prato ha una certa storia in fatto di cultura musicale, e stasera si vede. Serbian è tentacolare e violentissimo, uno spettacolo vederlo suonare la batteria; i pezzi filano precisi e devastanti, caotici al punto giusto, come nello stile della band romana. Alle una e venticinque gli Zu finiscono il concerto, e fa impressione vedere che il pubblico non se ne va, vuole un bis che purtroppo non arriva.
Torno a casa, ma prima mi fermo a fare colazione, tanto so già che appena tenterò di dormire, il mio cervello sarà attraversato da quel fischio continuo di mille catastrofi che mi piace tanto, altro che Pausini.