Prato vista dal piazzale del Ponzaglio, dove tutte le settimane parcheggia il furgone del progetto Outsiders, non è un bello spettacolo, e non lo è nemmeno per chi lavora con i tossicodipendenti come gli operatori di strada della cooperativa Cat che lo guidano.

Li abbiamo incontrati per capire se e come si stia evolvendo la tossicodipendenza in centro storico. Il quadro che ne esce è per certi versi positivo, non tanto da un punto di vista di riduzione del fenomeno, che non dipende certo dalla sola attività degli operatori, quanto da un punto di vista della sua gestione a livello umano. Stefano Bertoletti è il responsabile dell’area prevenzione territoriale e dipendenze della Cat e coordina il lavoro degli operatori che ogni settimana arrivano a Prato, tra cui ci sono Sara Contanessi e Valentina Menzella.

Bertoletti, siete a Prato da qualche mese ormai e vi sarete fatti sicuramente un’idea precisa della situazione. Come sta andando?

“Noi siamo il punto avanzato sul fenomeno tossicodipendenza a Prato. Voglio chiarire questo punto perché si chiedono risultati ma in questo lavoro i risultati sono spesso cose che alle persone comuni sfuggono. Noi siamo soddisfatti del lavoro svolto fin qui. Abbiamo avuto bisogno di un po’ di tempo per ambientarci e soprattutto per prendere confidenza con la nostra utenza ma adesso possiamo dire che il rapporto è avviato e anche molto bene. Questo significa che l’utenza si fida dei nostri operatori e per noi questo è un risultato iniziale importante: ci chiedono siringhe, si fanno curare, recentemente c’è stato un caso di ulcera per esempio, e più in generale si rivolgono a noi per avere informazioni o più semplicemente consigli di ogni tipo. Siamo cioè diventati un punto di riferimento e vediamo anche un cambiamento nel comportamento generale, una sorta di responsabilizzazione da parte loro”.

In cosa sarebbero diventati più responsabili i tossicodipendenti che si rivolgono a voi?

“Sicuramente stanno cominciando a riportarci siringhe usate. Bottiglie piene di siringhe usate e questo non solo ha un significato per noi ma anche per la città, vuol dire che ce ne sono meno abbandonate in giro. In questo senso parliamo di responsabilizzazione e di attenzione da parte loro. E poi abbiamo riscontrato un’ottima collaborazione in caso di malore. Cioè hanno capito che noi siamo lì per loro. Queste persone vanno a periodi, ci sono periodi in cui sono su di giri e altri in cui sono in crisi. Il nostro compito è quello di aiutarli in tutte le fasi informandoli sui rischi di malattie infettive e sulle buone pratiche per non ammalarsi, non solo quando decidono di rivolgersi ad una struttura sanitaria”.

Si può dire che il fenomeno stia diminuendo oppure no?

“No, per quanto possiamo vedere l’afflusso sembra in aumento. E sono in aumento i ragazzini. L’altro giorno, mentre ero al Ponzaglio, mi è sembrato di essere tornato a certi festival musicali dove facevo prevenzione tanto erano giovani le persone che avevo davanti. Siamo di fronte ad una nuova generazione di assuntori che soprattutto fuma le sostanze e che attraverso il fumo viene in contatto anche con l’eroina, anche se poi non tutti passano alla siringa in modo automatico”.

E dall’altro lato invece, lato spacciatori intendo, cosa sta succedendo?

“L’unica cosa che posso dire è che sembra che questa città abbia a che fare con un nuovo tipo di spacciatori, proprio una nuova generazione dalle caratteristiche ben  precise, che ha saputo ritagliarsi un ruolo di un certo peso in una piazza dove le sostanze sono di buona qualità”.

Senta, secondo lei c’è una speranza che le cose possano migliorare? E se sì, in che tempi?

“Non si può parlare di tempistiche certe. Il nostro lavoro è appena cominciato e la nostra speranza è veder riconfermato il progetto “Outsiders” il prossimo anno per non vanificare quanto di buono fatto fin qui”.

C’è qualcosa che possa agevolare il vostro lavoro?

“Ci sono dei problemi piccoli e grandi, locali e di più ampio respiro. Per esempio, è importante che il fenomeno della tossicodipendenza rimanga evidente, cioè la repressione non serve a niente se non a nasconderlo ma se lo si nasconde, nessuno che ha le competenze per intervenire potrà farlo. Passando al dettaglio, le farmacie complicano un po’ le cose: in centro a Prato non si trovano siringhe vendute singolarmente e nemmeno del formato giusto. Questo ha delle conseguenze sulla nostra utenza: ci sono stati casi di ferite dovute all’uso di siringhe troppo grandi che si sono infettate e che hanno richiesto delle cure. Un tossicodipendente con delle ferite rischia di contrarre malattie infettive. Impedirlo può salvare la vita a lui e far risparmiare ai contribuenti il costo delle spese mediche necessarie per curarlo. Più in generale, comunque, sono i servizi del Sert ad essere vissuti come troppo rigidi e a spaventare. Ognuno dei nostri contatti ha la propria storia e le proprie motivazioni, alcuni rifiutano l’accezione di tossicodipendente, altri invece di Sert non vogliono proprio sentir parlare. Pensare un giorno di rendere i servizi un po’ più flessibili potrebbe essere per loro un incentivo ad utilizzarli”.

Sta arrivando il freddo e l’inverno. Secondo lei cambierà qualcosa in centro a Prato?

“Ci piacerebbe saperlo anche a noi”.