“La fine del mondo” è una mostra perfetta. Perfetta per tutti. Per gli scettici sulla mostra e sulla riapertura del Pecci, perfetta per coloro che invece ci credono e ne sono orgogliosi, perfetta per i curiosi in cerca di stupore e anche per gli appassionati e gli esperti d’arte contemporanea. Ciascuna di queste categorie troverà pane per i propri denti nella mostra inaugurale del nuovo Centro Pecci. E alla fine, con ogni probabilità, ne uscirà soddisfatto e pieno di incertezze.

Gli scettici

A loro basterà guardarsi un poco intorno per capire d’aver avuto ragione, purtroppo. Al momento della riapertura il Pecci non è finito, è un vero e proprio cantiere aperto, fuori e dentro l’astronave,  e anche la mostra è stata allestita di corsa, in una lotta contro il tempo che se è stata vinta per l’inaugurazione, non lo è stata invece per la preview della stampa, che l’ha visitata scansando operai e scale, saltando a piè pari saldatrici e ignorando alcune opere ancora da allestire. Diranno gli scettici con un sorrisino soddisfatto che con tutta la buona volontà, è stato fatto casino anche stavolta, che sono dieci giorni che escono foto e dettagli della mostra e che l’impressione generale è abbastanza caotica. Dimostrazione, concluderanno, di una partenza che pone il Pecci già un passo indietro rispetto a quei musei cui invece bisognerebbe ispirarsi. Insomma, gli scettici pensano al futuro e scuotono il capo, sono convinti che il rischio figuraccia sia altissimo, che tuttti questi soldi potevano essere spesi per ben altro e quando gli chiedi cosa ne pensano della mostra e del nuovo Centro Pecci la buttano in economia e ti rispondono con domande tipo: “Cosa facciamo per non trasformare l’astronave in un involucro vuoto? Qual è il modello di business del nuovo Centro Pecci? Con quali soldi si faranno tutte le iniziative annunciate? E tra due anni? Poi se ne torneranno a casa, siederanno sul divano soddisfatti e sospenderanno il giudizio. In attesa di una nuova occasione che confermi le loro teorie.

I curiosi

C’è una nuova attrazione in città e saranno molti quelli che non vorranno perdersela. L’hanno vista spuntare da terra lentamente, quest’astronave dorata, e adesso che il portellone è stato abbassato i curiosi si avvicineranno per vedere cosa c’è dentro. E “La fine del mondo” saprà stupire anche chi non è interessato all’arte ma riesce a lasciarsi andare alla curiosità e alle visioni altrui. E allora alzeranno la testa incantati dai cascami inquietanti e alieni di Hirschhorn e poi s’infileranno nell’intestino della storia di Oliveira, scoprendo magari che il timore viene meno facendolo a ritroso, sbucando come al termine di un parto di fronte ai tramonti di Warhol. E macineranno metri  superando un po’ perplessi i minerali, le classi morte, il sabba di betoniere, le stanze delle proiezioni. Finché non si imbatteranno in quello che potrebbe sembrare un arcobaleno di lupi, e lì, nonostante l’abbiano già visto migliaia di volte sui social network, si fermeranno a lungo, osservando l’arco e il capitombolo, studiando i musi e le zampe. Prima di attraversare un acquario bianco e lasciare l’astronave con un sospiro.

Gli orgogliosi

Una maggioranza silenziosa, bipartisan e piena di speranza. Perché chiunque abbia un briciolo di comprendonio e d’amor proprio, sia esso pratese, toscano o italiano, riesce a comprendere che se fatto funzionare a dovere il nuovo Centro Pecci potrà regalare gioie di vario tipo, da quelle economiche a quelle turistiche, per non parlare di un certo prestigio di cui la città che lo ospita è tanto affamata. Per questo, per alimentare quell’energia che si respira oggi a Prato, sono disposti a tirare dritto su molti dettagli inutili e a marciare compatti sostenendo il perfezionamento del nuovo Centro Pecci al grido di un #forzaprato generale. Che per chi non è di queste parti può suonare un po’ forzato, ma certe volte ci vuole, certe volte è necessario per liberare da tutte le ombre, anche solo per un momento, l’orizzonte di questa città.

Gli amanti dell’arte

Chi se ne intende o chi crede di farlo, troverà nella “Fine del Mondo” quello che cerca. Una mostra con un discorso logico e uno sviluppo complesso che mette in scena l’annunciata “incertezza dei nostri tempi”, quelli della fine del mondo come lo conosciamo perché forse gli strumenti per interpretarlo a nostra disposizione sono diventati obsoleti. Si sforzerà di comprendere il discorso, forse lo riconoscerà in qualcuna delle grandi, minuscole o megalomani opere in esposizione. Si farà coinvolgere, si ritroverà a pensare o a sforzarsi di pensare dove sia la catarsi suggerita, quel meccanismo che dall’accostamento di fattori diversi riesce a sprigionare un senso nuovo con cui comprendere e interpretare la realtà. E a questo punto comincerà il dibattito, tra quelli che se ne intendono, colgono i riferimenti e apprezzano e quelli che se ne intendono, leggono tra le righe e non apprezzano affatto per un miliardo e duecentomila motivi circa. Tra quelli che amano il concettuale e quelli che aborrono Boccioni e Fontana relegati in un angolo, tra quelli che s’emozionano di fronte alla mineralizzazione degli smartphone e quelli che non sopportano la video arte ma idolatrano l’uomo verme. A lato, poco distanti, ci saranno pure gli immancabili “Questo riusciva anche a me”, “Questa è una cagata pazzesca” e “Questa è tutto tranne che arte”. E sì che allora il dibattito decollerà davvero e dall’antenna del nuovo Pecci se ne uscirà dalle nicchie di settore per espandersi tutto intorno.

A questo punto, ci metteremo a sedere anche noi per goderci lo spettacolo procurato da un museo che riapre dopo dieci anni con una mostra infarcita di nomi di caratura mondiale. A Prato.