trail val di bisenzio
Foto via Comune di Prato - Andrea Tomasi

L’aria è frizzante ma il sole scalda abbastanza da invogliare ad uscire per godere di vita e di compagnia. L’inverno promette di essere prossimo al termine e oggi pare proprio voler concedere una tregua: mattina luminosa di un giorno nato con il gelo e che morirà con il freddo, ma che intanto vive del tepore del sole in un cielo azzurro spoglio di nuvole.

Piero si aggiusta il cappello di lana scura sulla testa, si sfrega le mani ossute, chiude bene il cappotto pesante e apre la porta di casa. L’aria di Prato gli sembra sempre nuova di odori; colpa del vento, che pare aver scelto per patria la valle del Bisenzio.
Sesto è già pronto sul marciapiede dall’altra parte della strada; ritto e immobile come una statua, lo aspetta con un sorriso da bambino stampato in volto. È infagottato come se fosse pronto per una spedizione all’Artico, invece che per una passeggiata verso il Monferrato.

Piero scuote la testa: a forza di camminare diventerà una fornace e finirà per lamentarsi tutto il tempo. Gli pare persino di sentire l’eco della voce della moglie del suo amico, mentre, prima di lasciarlo uscire da casa, gli stringe la sciarpa intorno al collo e lo rimbrotta: due vecchi a spasso per i sentieri del parco di prima mattina… non avete niente di meglio da fare? Se proprio il suo Sesto doveva rischiare di morire di qualcosa, che non fosse però di freddo.

Piero attraversa la strada e in silenzio si accosta all’amico di una vita che, giulivo come un bimbo alla fiera, si sistema la sciarpa gialla e si avvia ad attraversare Galceti.
“Sono proprio contento, stamani.” Sesto si schiarisce la voce con un colpo di tosse. “Dice che bisogna camminare e noi si cammina.” Si stringe nelle spalle. “Almeno durante la settimana non ci sono tutti quei pratesi. Vedrai come si cammina bene!”

Piero annuisce, domandandosi distrattamente se il suo amico creda di abitare da un’altra parte, ma prima di poter proferire sillaba, la punta di un dito protetta da un bel guanto blu gli centra quasi un occhio. “Secondo te, sarà davvero un vulcano?” Sesto indica il profilo dei monti che hanno davanti. “I vecchi dicono sempre che è un vulcano spento.”
Piero si aggiusta il berretto. Che lui crede di esser giovane? “Hai paura che ti esploda sulla testa?”.

“Ma che discorsi!” L’amico starnutisce. “Se partisse davvero, non distinguerebbe mica la mia dalla tua!”
“Parte? E dove va?” Piero scrolla la testa. Con tutti quei discorsi inutili negli orecchi sarà una lunga, lunga, camminata…
“Come ti sei svegliato male, stamani.” Sesto si asciuga il naso con un fazzoletto a fiori colorati enorme. “È pieno di minerali lassù. La terra è dura. Le rocce sono scure, verdi, rosse, viola; ci sono poche piante, ginestre, cespugli, mica di più… e poi la neve la scansa. La terra intendo; non ci cade sopra! Lo sai che una volta non c’erano nemmeno i pini marittimi? Ce li hanno piantati per la ragia… per fare l’acqua ragia. Da soli, su quella terra dura, non c’erano nati! Anche perché se sono marittimi, che ci andavano a fare in montagna?”

Piero, più alto, più secco, più rugoso e più silenzioso, si ferma un istante e squadra l’amico dall’alto al basso. “Insieme al latte, a colazione, hai bevuto anche qualcos’altro?”
Sesto, più basso, più grasso, più liscio e più chiacchierone, si stringe nelle spalle. “Non lo digerisco il latte, lo sai. Non lo bevo mai.” Infila il fazzoletto in una tasca del giubbotto verde e riprende a camminare. “Se siamo fortunati magari si incontra un capriolo!”” Più facile una puzzola.” Piero si ferma, aspetta che le auto gli sfilino davanti, e poi attraversa la strada. L’amico, a ruota.
“Non capisco perché stamani, con questo bel sole, tu sia tanto scontroso. Si va a camminare, no?” Sesto allarga appena le braccia con i palmi delle mani rivolti verso l’alto. “Allora impariamo qualcosa di dove si mette i piedi!”

Piero lo fissa di traverso. “Ci sono nato qui. Come te. Della terra che ho sotto i piedi, conosco anche i sassi.”
“Allora sai che anche gli uomini delle caverne abitavano lassù, quelli preistorici, in cima a quei tre monti. Magari, se siamo fortunati, si trova qualche pezzo di selce, di diaspro o che so io!” Sesto tossisce di nuovo. “Ci hanno vissuto anche gli etruschi, i romani e pure un sacco di barbari… Ci si doveva star bene parecchio.”
“Magari c’era più silenzio di ora!” Piero drizza la schiena e lo fulmina con uno sguardo truce degli occhi azzurri.
Sesto per niente intimorito, continua. “Ma lo sai perché Galceti si chiama Galceti? Questa non la sai, vero?” Gli occhi scuri si fanno furbi e vispi. “Dice che prende il nome da galcio che è il posto dove si estraeva una terra che si usava per gualcare le lane… sai per farle più compatte, robuste, impermeabili!” Soddisfatto, starnutisce di nuovo.
“Ma che ne sai te della lana, che sei figlio di un contadino della piana e che per tutta la vita hai fatto il meccanico?” Piero si pigia con forza il cappello sulla testa, badando di tapparsi bene anche le orecchie.
Sesto si scrolla nelle spalle tonde. “E le argille? Ci facevano le terre cotte. E il serpentino, il marmo di Prato? Quello verde? Anche quello viene dal Monte Ferrato. C’è anche nella facciata della Cappella, quella staccata dal convento… E lo sai da quanto tempo i frati ci abitano in quel convento? Da tanti di quei decenni che non ci bastano le dita delle mani e dei piedi per contarli. Lo vedi quante cose non sapevi?”

Piero si ferma nello spiazzo, davanti l’ingresso del parco naturale. “Senti, ci son altre due cime lassù, Monte Mezzano e Monte Piccioli, e più di un’ora di camminata: non vorrai raccontarmi la storia di tutti i sassi che s’incontrano e di chi ci ha messo i piedi sopra?”
Sesto borbotta e tossisce ancora. “Ma se proprio non ne hai voglia, non siamo mica obbligati. Si è camminato fin qui, ci ha fatto bene e si può anche smettere. Magari si può fare una visitina al convento. Dai francescani. Quelli che cantano. Lo sai che avevano un coro fin dai primi del secolo? Il secolo scorso, quello del novecento intendo…” Piero si infila le mani nelle tasche del cappotto, giusto per non portarle al collo dell’amico, e lo fissa ad occhi sgranati. “Va bene, va bene. Facevo per dire… quante storie stamani. È che non mi sento tanto bene. Tosse, raffreddore, mi gocciola il naso. Ho più fazzoletti in tasca che capelli sulla testa. Magari arrivare fin lassù e poi scendere giù, perché a casa ci vorrei anche tornare, non mi farebbe tanto bene… tutto qui.”

Piero china la testa, inspira l’aria fresca e guarda l’amico dritto negli occhi scuri. “Ora, io e te, si cammina lungo il sentiero fino alla cima del Monte Ferrato… quanto tempo ci vuole, ci vuole… e si va a scoprire se è davvero un vulcano…”
Sesto, appena intimorito, ricambia incerto lo sguardo dell’amico. “E se fosse davvero un vulcano, che si fa?”
Piero si raddrizza e comincia a camminare. “Te lo spiego quando ci si arriva!”

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