Caparezza, le sue prigioni mentali e la sua idea di libertà. Il primo concerto del Settembre è stato un successo, sotto tutti i punti di vista, numerico e qualitativo.

I numeri: Caparezza con il tour estivo di Prisoner 709 sta facendo sold-out ovunque, e quello di ieri in Piazza Duomo non ha fatto eccezione. La qualità: Caparezza continua ad essere uno strano animale da palcoscenico, facile e difficile allo stesso tempo, riesce a far passare concetti profondi con estrema facilità, e sa far ballare. Il tour estivo è una sorta di sequel del tour invernale: se nel tour invernale lo scenario era quello di una prigione, qui dalla prigione siamo scappati. Libertà è la parola che più riecheggia dal palco di Piazza del Duomo, davanti ad una piazza che definire gremita è riduttivo. Ma libertà da cosa? La libertà non esiste.

E per dimostrare questo assioma tristissimo quanto lampante ci mette 23 canzoni in cui immagina di fuggire da ogni tipo di gabbia: la camionetta della polizia, la ruota del criceto, la teca in cui era riposto il vecchio San Michele di sua nonna, la prigione mentale in cui l’acufene lo rinchiude (“Larsen”).

Una grande produzione piena di macchine teatrali, un palco su tre piani, i video, e le grandi costruzioni in cartapesta (La lavatrice alata di “Confusianesimo” quella più azzeccata, ma anche la barchetta di carta di “China Town” o il flipper di “Abiura di me”) che da sempre accompagnano Caparezza in quella specie di carnevale viareggino mediatico che è il suo set da concerto. Un concerto divertentissimo – più di due ore senza momenti di stanca – in cui trovano ancora spazio quelle canzoni che il nostro non è ancora libero di togliere dalla scaletta (“Vengo dalla luna”, ma anche “Fuori dal Tunnel” o “Vieni a ballare in Puglia”, ancora geniale sebbene inflazionata, qui servita in un’inedita salsa mariachi).

Però, il mettere alla fine del concerto quel grande pezzo, per niente rassicurante, che è “Mica Van Gogh” testimonia che il nostro, quelle gabbie mentali di cui tutti siamo schiavi sa ancora gestirle bene. Meglio di tanti altri.