“Che cosa è una periferia?”: così Kaaj Shilia Tshikalandad, studentessa universitaria di sviluppo economico e cooperazione internazionale, apre il suo intervento a Sincronie 4, il convegno rivolto alle scuole superiori pratesi che si è svolto questa settimana al Teatro Magnolfi che ha visto coinvolti 115 ragazzi. 

“Cosa ci viene in mente sentendo la parola periferia?”. I ragazzi, interrogati, iniziano a dare le loro risposte “lontananza dal centro urbano, degrado, squallore” è l’idea che va per la maggiore. “La nostra idea di periferia – commenta Kaaj –  si rispecchia nella subordinazione di quest’ultima al centro urbano: ma può un corpo resistere senza la sua periferia circolatoria?”.

Sicuramente un incontro pieno di domande, dato che le “periferie”, globali, locali o mentali, sono una questione di punti di vista e prospettive. Un luogo è considerato periferia quando c’è bisogno di considerarla tale, di darle uno stato di subordinazione, lo scalino più basso in un mondo piramidale. 

Tshikalandad racconta la storia dell’Africa e del Paese di cui è originaria, il Congo, considerata sicuramente dalla nostra parte del mondo, lo scalino più basso della piramide.

“Possiamo trovare una data specifica in cui è stata creata questa nostra periferia: quando nel 1884 a Berlino  l’Africa viene divisa tra le potenze europee, le quali prendono le “dovute” distanze da tali popoli, considerandoli nettamente inferiori, come dimostrato dal fenomeno della tratta degli schiavi, devastando un contesto dove esistevano organizzazioni politiche, a base tribale, una forte urbanizzazione del territorio e un’economia basata su tessuti, oro e molte altre risorse”. 

Il Congo è l’esempio più eclatante di quanto il colonialismo – che si è protrae in varie forme anche oggi, anche se il Paese è indipendente dagli anni 70  – ha bloccato e sfigurato il volto dello sviluppo, ripercuotendosi fino a quello che vediamo oggi. Una storia fatta di governatori assassinati, instabilità politica e sociale, sfruttamento delle risorse da parte dell’occidente. I pochi governi che hanno fatto vedere un minimo splendore economico, sono stati smontati, tra malcontento popolare e povertà estrema. 

L’incontro si conclude con un’immagine di un barcone in mezzo al mare pieno di persone in cerca di un “porto sicuro” e un invito a cambiare prospettiva: “come possiamo considerare solo la barca, senza conoscere che storia si portano dietro e da dove provengono queste persone? Smontiamo le piramidi dove ogni tassello può essere escluso senza variare la forma della struttura e costruiamo cerchi, dove ognuno è uno spicchio indispensabile, con al centro un obiettivo comune per cui lavorare”.

Articolo di Matteo Brugno