genesio
genesio - teatro metastasio foto di irene cappelli e sarah melchiori

Irene Cappelli e Sarah Melchiori sono due fotografe, studentesse della L.A.B.A. di Firenze, e sono le creatrici di Genesio, progetto fotografico che racconta la stasi del mondo dei teatri e di chi ci lavora, su e giù dal palco. Nato dal bisogno di dare il proprio contributo per riaccendere i riflettori sul mondo dell’arte, Genesio porta il nome del santo protettore degli attori, raccoglie fotografie dei teatri, dei tecnici e delle compagnie nel periodo della chiusura e copre soprattutto il territorio di Prato e del Comune di Firenze.

Siete tutte e due studentesse della LABA di Firenze, ma siete Fiorentine?

S: Io sono di Trento, quindi sono una studentessa fuori sede
I: Io invece abito a Greve in chianti.

Il progetto Genesio quanto spazio copre, da un punto di vista geografico?

I: Principalmente Firenze e Prato.

Come mai queste due città?

S: Firenze soprattutto perché volevamo addentrarci in questo territorio, poi siamo entrate spontaneamente in contatto con realtà di Prato e quindi il progetto si è allargato. Anche perché comunque l’abbiamo iniziato in un momento in cui non ci si spostava facilmente e abbiamo cercato di ricoprire Firenze e, appena abbiamo potuto, anche prato.

Genesio – Teatro Metastasio – Fotografia di Irene Cappelli e Sarah Melchiori

Non so Genesio in che ambito sia nato: se sia un progetto che avete fatto per la LABA o per voi.

I: No, è esterno.

Quindi perchè Genesio?

I: Abbiamo scoperto che Genesio è il santo protettore degli attori, e dato che ci sembrava adatto a questa situazione di insicurezza e instabilità abbiamo pensato che una figura come un santo potesse essere di buon auspicio.
S: Si allacciava bene anche al tema del progetto, che per l’appunto è anche un racconto di come queste realtà stanno sopravvivendo.

Come mai avete scelto di lavorare proprio sul mondo della cultura?

I: Perchè abbiamo anche un po’ pensato a noi in un futuro, visto che lavoriamo nel mondo della fotografia e facciamo parte della cultura. Sentirci messe da parte, per quanto ancora studentesse…ci siamo immaginate noi in una situazione del genere, e nel nostro piccolo abbiamo voluto dare un contributo rappresentando anche il nostro disagio.

Vi siete girate tutti questi teatri vuoti: che sensazione da vedere un teatro così, obbligatoriamente vuoto?

S: Abbiamo seguito anche compagnie, e magari quella situazione era un po’ più familiare, ma dalle loro parole sentivamo sempre questa sensazione di precarietà ed era una cosa davvero devastante. Ci raccontavano che le compagnie sono meno sostenute dalla Regione Toscana, e quindi hanno bisogno di crearsi i loro spettacoli per riuscire a andare avanti. Per quanto riguarda le strutture la sensazione era di vuoto, di stasi: era tutto fermo a quando avevano chiuso. Per esempio: siamo state al Metastasio e prima della chiusura stavano provando uno spettacolo.
I: Ed era rimasta la scenografia tutta sul palco.

Genesio cosa diventerà? Cosa volete che diventi: una fanzine, un libro, una pubblicazione, un progetto per internet?

S: Noi vogliamo che sia un progetto ibrido: la nostra volontà è di raccontare la situazione, non ci sentiamo di rinchiuderlo in una pubblicazione. Ci piacerebbe averlo stampato, stiamo progettando il libro, ma è un progetto che sta continuando. Domani saremo a Metropopolare a Prato, per esempio. Per adesso stiamo cercando di pubblicarlo online, è presente sulle nostre piattaforme Istagram e successivamente pensavamo di renderlo cartaceo.

Domani siete a Prato da Metropopolare: adesso che i teatri possono tornare a lavorare credete che le vostre fotografie saranno diverse da quelle scattate quando tutto era fermo? Non avete paura che si amalgamino male con le altre?

S: In realtà io non saprei nemmeno risponderti, è la prima esperienza che facciamo dopo la semi riapertura. Spero che ci sia un ambiente completamente diverso, e mi piacerebbe mettere quest’ultima parte alla fine del racconto, visto che stiamo cercando la conclusione. Ci dispiaceva finirlo con questa sensazione di precarietà, io quindi sono anche felice di trovare queste nuove emozioni per riuscire a raccontare una nuova fine.

Genesio – Compagnia TPO – Fotografia di Sarah Melchiori e Irene Cappelli

Da quanto tempo va avanti Genesio?

I: Circa ottobre-novembre, abbiamo iniziato a mandare un po’ di mail in giro in quel periodo.

Come mai avete deciso di girare per teatri chiusi?

I: C’è stata, forse un po’ più da parte mia, una crisi completa di creatività nel periodo del lockdown, quindi una grande demoralizzazione dal punto di vista artistico. Non so, leggendo e informandomi mi è venuta in mente questa possibilità e visto che Sarah lavora anche per un festival di danza a Trento è stata la prima che mi è venuta in mente. Poi comunque abbiamo un bellissimo rapporto e ho pensato che non ci fosse nessuno meglio di lei. E’ stata un po’ una ricerca di un riscatto, non ne potevo più di non riuscire a produrre niente: ho deciso che doveva cambiare qualcosa.
S: Volevamo anche, in un certo senso, dare il nostro contributo a questa situazione.
I: Esatto. Far capire che il mondo dell’arte non deve essere messo in silenzio così, senza chiedere opinioni a nessuno, solo perché lo vedono come una cosa secondaria.

Pensate di portare ancora avanti il progetto? Potrebbe avere senso un Genesio parte seconda, quando le cose ricominceranno?

I: Forse no. Non c’è motivo di farlo.
S: E’ un progetto che comunque rappresenta questa situazione, quindi quando si ricomincia a riaprire Genesio perde significato. Stiamo cercando una conclusione felice, pensavamo di chiuderlo prima di una sperata riapertura totale.

Il lavoro del fotografo non è solo creare arte, ma documentare quello che succede. Fondamentalmente siamo un po’ la banca dati dell’universo. Ogni fotografia scattata durante della pandemia, che parla della pandemia, potrebbe diventare un documento storico fra qualche decennio. Anche Genesio potrebbe esserlo.

I: Non sarebbe male. Stiamo cercando di divulgarlo un po’ anche per incuriosire qualcuno.
S: Anche perché magari rimanga lì a sedimentare, e fra un po’ possa essere una risorsa.
I: Alla fine, visitando sia le case delle compagnie e le strutture, c’era questa voglia di riscatto: di impegnarsi per fare qualcosa, di non lasciarsi troppo andare. Anche questo esce fuori. E’ un po’ un manifesto di resistenza.

Irene Cappelli e Sarah Melchiori