Dopo il suo debutto a Milano, da giovedì 17 fino a domenica 20 giugno, il Teatro Fabbricone ospita l’adattamento teatrale de “La grande abbuffata“. Produzione del Teatro Metastasio in collaborazine con Elsinor, in un’inedita drammaturgia firmata dal regista Michele Sinisi e Francesco Maria Asselta.
Da giovedì a sabato ore 20; domenica ore 18.

“Quattro amici decidono assieme di rinchiudersi dentro un appartamento parigino, stufi della loro noiosa vita, godendosi i lussi della vita, ma con un terribile segreto”. Assieme al drammaturgo Asselta, Sinisi riscrive e riadatta l’opera, indagando a fondo sul sistema ed il corpo dell’opera.

Sinisi allestisce lo spazio sul palco ispirandosi alle esperienze di questi ultimi mesi: “Durante il lockdown sono saltati i confini del concetto di rito, ricominciare come se nulla fosse successo è impensabile – racconta nella presentazione – Abbiamo accettato la violenza del teatro in streaming e non ci siamo resi conto che l’assenza del teatro era il teatro stesso. A questo punto per me si è reso necessario ripensare al linguaggio teatrale ed esplorare nuovi codici comunicativi”.

“Sulla scena – continua la presentazione – fanno la loro comparsa un tavolo da obitorio, una cucina rudimentale, uno schermo, tre celle di acciaio e, sullo sfondo, un water pronto ad esplodere. Una continua esplorazione dell’osceno, che dialoga coi personaggi attraverso i temi dell’opera”.

Cos’è La Grande Abbuffata

“La Grande abbuffata è un racconto umano e artistico nel senso più concreto. Gli interpreti dello spettacolo sono, come nel film, presenti coi loro stessi nomi, per chiarire ulteriormente il risvolto umano dell’opera sul pubblico, così come volle Ferreri. L’obiettivo dell’autore era farne lo specchio del tempo, in cui la società occidentale evidentemente mostrava i segni dello sgretolamento, in cui la struttura storica e le radici del suo stesso pensiero conclamavano il principio della fase dissolutoria. Tutto questo è passato non però attraverso una narrazione pedante, moralizzante, né tantomeno per il tramite di una provocazione esibita in modo pretestuoso e gratuito. Il calore dell’amicizia permette ai quattro personaggi di condividere l’aspetto primordiale della vita ch’è semplicemente il sentirla al cospetto della morte, il momento della reale libertà di ognuno. Quella sicurezza, quella bellezza dello stare assieme senza giudizi, permette loro di riappropriarsi del presente in totale contatto con gli aspetti fisiologici della nostra esistenza: mangiare e fare sesso. In questo patto tra i quattro si assiste a ciò che il mangiare e il sesso sono già diventati per la società dell’epoca (si parla del 1973): hanno chiaramente assunto una funzione diversa dal naturale ruolo nutritivo e riproduttivo, son divenuti culturalmente segni opulenti dell’attestazione del potere, del desiderio di conquistare la vita e di comandarla, di governarla in assoluto governandone anche la fine. Questa relazione è metafora di un’abbuffata progredita oggi, ad esempio, nella consuetudine con cui un reportage su catastrofi naturali, su fatti di cronaca sconvolgenti, sono intervallati da pubblicità di prodotti di consumo e subito dopo da richieste di aiuto per popolazioni del terzo mondo da parte di onlus che fatturano a 7zeri grazie all’offerta catartica per il nostro senso di colpa. Questo, oggi come allora, avviene ad una velocità e con uno stordimento tali per cui l’aspetto fisiologico cede il passo ad un ingurgitare ansioso e inquieto. Si è schiacciati dalle nostre possibilità, la spettacolarizzazione dell’esistenza riflette all’infinito le opportunità di scelta rendendoci privi di fondamento naturale. La voglia e il desiderio indotto dal sistema culturale annullano ogni contatto con l’esistenza fisiologica, così come tra azione e responsabilità, e si vive in una bolla per cui il dolore e la necessità dell’aria, quanto l’amore e il sesso, diventano occasioni rivoluzionarie difficili da gestire tanto quanto il mistero del primo vagito di un neonato. Arriviamo alla teorizzazione dell’attimo e del principio di ogni agire, abbracciando un’ignoranza vitale e biologica tale per cui l’istinto selvaggio sbocca in un accumulo mostruoso e autodistruttivo di ogni frammento di accadimento panico. La scena è lo spazio per l’esperienza che i quattro amici hanno deciso di vivere. Il piacere assoluto del mangiare e del sesso è tale per cui la vita stessa di ciascuno non può sopportare tanta conoscenza. È il corpo a riprendere possesso del presente, lì dove la testa è arrivata ad invadere ogni spazio vitale. Il sapere dell’essere umano mi interessa per il modo con cui coinvolge il corpo nel momento della sua stessa trasmissione, nell’atto della condivisione di ciò che si è imparato e s’è capito. C’è un punto in cui il corpo e la mente vivono insieme la consapevolezza di ogni istante che passa. Forse lì si nasconde il naturale senso del tutto, che da quando abbiamo cominciato a ragionare ci fa dire Dio, fortuna, destino, speranza, paura e felicità e altre parole simili.” (Michele Sinisi)