Andrea Gambacorti è il nuovo ospite di “Dialoghi sui generi”, la rubrica con cui cerchiamo di conoscere meglio gli attivisti Lgbt di Prato che nell’ottobre 2021 hanno aperto il primo centro Lgbt della città, in via Santa Trinita.

Nome e cognome?

«Andrea Gambacorti».

Quanti anni hai?

«43».

Hai sempre vissuto a Prato?

«Io sono pratesissimo ma sto a Pistoia, ho comprato casa con la mia compagna, stiamo insieme dal 2015. Ma sono di Prato, fidati. Sono un pratese che sta a Pistoia, mi infameranno tutti!».

Che lavoro fai?

«Lavoro nel tessile da quando avevo 16 anni, sono campionarista. Ci vuole precisione».

Come ti identifichi?

«Uomo trans. Sono in terapia ormonale da inizio 2017, ho intrapreso questo percorso, ci ho pensato e ripensato. Lo potevo fare prima, ma evidentemente prima non era il momento giusto per me. Ho deciso di affrontare il percorso, la mia mamma e diverse cose. Ho fatto tutto in modo molto tranquillo, ho avuto una persona accanto che mi ha saputo aiutare».

È importante avere una rete intorno.

«Sì, e poi non conoscevo nessuno: conoscevo qualcuno, ma molto a distanza. Non mi sono avvicinato subito ma, conoscendo questo ragazzo, ho deciso subito di intraprendere il percorso e ho deciso che aiuterò chi verrà dopo perché è un gran casino, anche tecnicamente. Ci vuole pazienza. Io ho 43 anni, l’ho presa molto tranquillamente, ma ci sono ragazzi di 20 anni che vogliono tutto e subito e non possono averlo perché si rovinano altrimenti. Siamo seguiti dal Cubo di Firenze: è un centro di ricerca per transizioni F to M (da female a male, quindi da donna a uomo) e M to F (male to female, quindi da uomo a donna) famosissimo, vengono da tutta Italia, ma ci sono tanti problemi di base. È da quasi 5 anni che ho fatto solo la mastectomia, ma perché l’ho fatta da un’altra parte: ho seguito la chirurga che è andata via da Firenze e operava a Bologna».

A Prato non c’è questo percorso?

«Lo puoi fare, sempre tramite la ASL…ti dico la verità, ho sentito altri ragazzi che hanno a loro volta sentito ospedale eccetera e gli hanno detto picche. Non lo so se per i medici, o se non lo possono fare…non lo so. Io ho deciso di andare a Bologna, e adesso sono in lista per l’isterectomia e non è possibile, dopo così tanti anni. Non è possibile. Con il testosterone succede una terza guerra mondiale dentro, non hai idea dei dolori che noi F to M abbiamo».

Non ne so niente, quindi se ti va spiegami.

«È come se tu avessi degli organi marci dentro che si sono ritirati, non servono a niente. Ho fatto la seconda preospedalizzazione il 13 di ottobre (questa intervista è stata fatta nel novembre 2021), ho già chiamato tre volte perché devi essere te a chiamare, e devi rompere le scatole. Lo consiglio a tutti, anche se non è bello. Alla terza mi hanno detto “sei in lista” e gli ho risposto: “meno male!”». Dovrebbe stare a me tra poco, ma non so quando. Non è possibile una cosa del genere. A Firenze, al Cubo, c’è un medico bravissimo e voglio fare l’operazione con lui. E non sto a dirti le vicissitudini per mettermi in lista».

Ma in realtà te lo volevo chiedere.

«Per mettermi in lista? Aiuto. Sei pronta? La prima volta ho chiamato e mi avevano detto “ok, per tutte e due?” perché a Firenze possono fare mastectomia, con ricostruzione del torace maschile, e isterectomia. Ok, sono in lista. Il tempo passa. Un anno, due anni. Ogni tanto telefono: “Non ti preoccupare, sei in lista!”. E ok. Poi la chirurga si è staccata, e ho detto: “a questo punto le operazioni le faccio separate”. Tempo un mese e mezzo e a Bologna ho fatto l’intervento. Nel frattempo ho chiamato la preospedalizzazione per dire: “guardate, io la mastectomia l’ho già fatta, quindi sono in lista solo per l’isterectomia”. Ah, mi hanno risposto, i tempi si accorciano! Speriamo, ecco uno spiraglio di sole, no? La scorsa settimana leggo il prefisso di Firenze, e quando succede sono sempre contento perché penso mi chiamino per l’isterectomia. Rispondo e mi dicono: “Chirurgia plastica, cercavamo Andrea. È in lista per la mastectomia”. No, allora non ci siamo, ma siamo a questi livelli. Gli ho detto: “Scusate, ma io l’ho già fatta”. È un centro di ricerca e sono d’accordissimo, firmo tutto, ma seguiteci. Ora abbiamo mandato una seconda mail con richiesta di una seconda video chiamata con la responsabile del centro del Cubo. Durante la prima video chiamata col Cubo c’è stata un po’ di diatriba, e abbiamo risposto con una mail abbastanza seria: devono rendersi conto che stanno giocando con la nostra salute, non possiamo aspettare così tanto. Li ho informati dell’apertura del centro di Prato, e che siamo apertissimi a ricevere notizie perché se non chiami te è dura sapere qualcosa. Ora si stanno organizzando meglio, c’è un portale che si chiama Infotrans dove abbiamo chiesto l’inserimento del Comitato e della Trans Helpline. Sta migliorando ».

Anche perché la comunità trans arriva pochissimo: non perché la comunità non si apre, ma perchè non ci sono informazioni per la comunità.

«Non c’è comunicazione, quindi tocca rompere il cazzo anche li. Io sono sempre pronto a farlo, loro possono chiamarci quando vogliono, abbiamo anche la linea trans helpline e rispondo io, cerco di seguire quanto posso, anche se ho un lavoro di 10 ore, tutta questa storia. Mi sono ripromesso che nessuno deve rimanere a piedi, non esiste, perché ci si rimane tanto male. Notizie da loro, verso di noi, poche. Ci possono far fare tutti i quiz che vogliono, ma…».

Vi fanno fare i quiz?

«La maggior parte delle domande sono: “hai mai pensato di suicidarti?”. Per scrupolo il primo quiz, che è un pacchettone in questo modo, me lo sono stampato tutto e ogni tanto me lo vado a rivedere, quella domanda si ripete tre o quattro volte. Ma se invece di fare i quiz si facessero appuntamenti in più, con l’endocrinologo, la psicologa, lo psichiatra, con chi vogliono».

Lo psicologo è obbligatorio?

«No, la prima volta che sono andato ho fissato con lo psichiatra. La psicologa l’avevo a Prato, andavo già dalla mia, e la psicologa di Firenze l’ho vista quattro volte e poi ciao: avevo la mia, andavo da lei, non mi fate ripetere le cose, no? (ride) Ci vorrebbero più appuntamenti, noi stiamo diventando tanti, e loro sempre i soliti appuntamenti danno. Io il primo appuntamento con lo psichiatra ci ho messo un mese per averlo. Ho accompagnato un ragazzo il 22 di settembre che aveva chiesto l’appuntamento a giugno, luglio. Come si fa? C’è un problema di fondo. Poi dice: “perchè i trans sono così stressati”? Per forza! Io posso aspettare? I dolori li ho, la salute è la mia. Noi stiamo giocando con la nostra salute, loro ricercano. E va bene, ricercate pure però la mia salute è la mia salute. Io comunque sono abbastanza inquadrato, credo. Ho pazienza, aspetto, cerco di controllarmi e sono tranquillo: ci sono persone trans che hanno di base dei problemi psicologici e non ce la fanno».

Per ogni servizio sei dovuto uscire da Prato, e sei andato a Firenze e Bologna.

«Firenze e Bologna, Prato zero. E c’è chi ha difficoltà a uscire, nel senso economico. Ti faccio un esempio: ci sono dei ragazzi che hanno saputo di Bologna tre giorni prima dell’intervento, te lo dicono pochi giorni prima, come a Firenze, ed è comunque un intervento importante. Conosco ragazzi che vengono da Napoli e Milano, e glielo dicono tre o quattro giorni prima: devi fissare il bed and breakfast, perché chi ti accompagna non dorme in ospedale. A volte è successo che la chirurga abbia avuto dei problemi e non sia potuta venire, e ci sta, per carità, ma chi glieli rende i soldi a chi viene da Napoli, Milano, Roma, Torino? Anche quello è un problema. I problemi sono questi, e sono pesanti. Un altro problema, che sembra una roba da nulla ma non lo è: a Firenze ti danno il cedolino per pagare, tipo ticket dell’ASL. Lì paghi solo col bancomat, se hai i contanti devi andare a Careggi, attraversare la strada e perdere tempo: se fai tardi all’appuntamento loro vanno avanti, e finisci in fondo alla lista alla fine del turno. Ma non esiste: prima provi a parlare con le persone in un modo urbano, tranquillo, poi però ti incazzi».

L’impressione è che non sia vista come una necessità, proprio da un punto di vista organizzativo e per la sanità pubblica: non stai per morire, quindi aspetta.

«È così. Da quando ho iniziato io sembra che si sia rimasti fermi, ma noi siamo triplicati, quadruplicati, siamo tanti. Abbiamo bisogno di questo percorso, è vitale».

Sono abituata a pensare all’ospedale come a un punto in cui ricevere aiuto: qui sembra più un “vengo qui perché devi sapere qualcosa, e come ricompensa mi dai ciò di cui ho bisogno”.

«Sì, e c’è qualcosa che non va. E ti fanno pure aspettare tre mesi!».

E mi dicevi che a Prato non c’è niente.

«Non che io sappia, o che mi sia stato riferito. Calma piatta. Non so nemmeno chi poter sentire. Anzi, da questa intervista se viene fuori qualcosa a Prato ben venga».

Quanti ce ne sono in Italia, di centri per la transizione?

«Ce ne sono, ma Firenze è quello nazionale. Ho un amico che però è andato a Pisa, e gli hanno dato più risposte a Pisa che a Firenze, e ora è indeciso se lasciare Firenze o no. Io non voglio ritrovarmi a fare l’isterectomia a Pisa perché in un mese prendi l’appuntamento e dopo due fai l’intervento, ed è già successo a dei ragazzi».

Bologna?

«Bologna potrebbe essere, ma potrebbe essere Torino, Roma. Secondo me ora siamo a dei livelli che o cambi qualcosa o cambi qualcosa. Se non ce la fai con i dipendenti che hai, a Firenze, organizzati. Non posso venire a dirti di assumere più personale, ma qualcosa devono fare. Noi esponiamo delle problematiche, e cosa è cambiato dalla prima volta che l’abbiamo fatto? Niente. I ragazzi che fissano il primo appuntamento si ritrovano ad aspettare tre mesi, e non è possibile. Non esiste. C’è chi sta veramente male, ci sono ragazzi che non vivono bene».

Non so cosa significhi guardarsi allo specchio e non riconoscersi nel modo giusto.

«Quando ho fatto la mastectomia, e non vedevo l’ora di farla, non vedo l’ora di andare di nuovo sotto i ferri, fra l’altro, e mi sono guardato allo specchio ho incominciato a riconoscermi. Dopo l’isterectomia dovrei cambiare ancora di più».

Com’è Prato per la comunità trans? È inclusiva o fa finta che non esistiate?

«Mi piace fare questo ragionamento: secondo me se non se ne parla Prato resta chiusa. Dobbiamo parlarne a prescindere, perché c’è un’ignoranza sulla comunità nel senso che non sanno che significhi trans, cosa vuol dire. È inclusiva fino a un certo punto, e ti parlo per esperienza. Fra tutte le persone che ho conosciuto ce ne saranno state due che mi hanno detto: “vabbè, allora ciao, arrivederci e grazie”, gli altri hanno voluto sapere il percorso, come mi sento, come affronto la situazione. La maggior parte delle persone sono rimaste e io non davo per scontato che andasse così. Non pensavo fosse così complicato, non pensavo fosse così difficile affrontare una cosa del genere, ma loro hanno voluto sapere e devono sapere, perché non c’è informazione su queste cose».

Come mai secondo te?

«È come se fosse una cupola: ci si resta sotto e va tutto bene, appena esci ti additano. Parliamone, perché l’informazione ci vuole».

Anche solo per lo stigma, se ci pensi quando a qualcuno che parte prevenuto dici la parola “trans” la prima cosa che può venire in mente è la prostituzione. Quindi c’è bisogno di dire “sono trans, lavoro nel tessile, al bar prendo il caffè”.

«È quello! Io sono una persona normalissima…che poi, normale. A me questa parola fa un po’ specie, e comunque la normalità è relativa. Non ero normale, passami la parola tra virgolette, quando ero lesbica. Mi coloravo i capelli, ora no. È questo il mio vero io, io sono così: sono una persona che lavora, che paga le tasse, che ha una compagna, ci si vorrà sposare. Credo di vivere la vita che piace a me, che voglio io. Non rompo le scatole a nessuno, a me ci penso io».

Questa cosa della trans helpline è su Prato o su Pistoia?

«C’è un numero di telefono, possono chiamare da ovunque: dico sempre che non sono uno psicologo ma se hanno bisogno di fare due chiacchiere, piangere, ridere o sparare due cazzate è il numero giusto. Non vorrei si scambiasse per un tipo di aiuto che non posso dare».

La comunità trans di Prato è vasta?

«Si, ma siamo nascosti ancora. Siamo più di quanti si vedano, magari perché non vogliono venire fuori. Magari fanno la transizione e poi fanno il loro, ma la comunità è bella. Altra gente, esperienze diverse, possono farti crescere e aiutare gli altri. È aiutare gli altri che serve. È nata da poco la trans helpline».

Stai facendo la transizione F to M: che differenze hai notato da prima a ora a parte il fatto che ti senti meglio? Che differenza c’è fra andare in giro come donna, o come uomo?

«Da donna ero chiusa, da uomo ho tirato fuori il meglio di me stesso, davvero. È questa la mia realtà, mi confronto con gli altri così, perchè sono così. Da donna avevo paura, perché non ero sicura di me stessa, non riuscivo a parlare…questa chiacchierata non l’avrei mai fatta. Con il testosterone e gli ormoni un po’ di carattere è cambiato…però tanta roba! Non è nemmeno un secondo compleanno, è una seconda vita».

Immagino che la transizione sia graduale, che ci voglia tempo: quando ti sei guardato allo specchio e avevi la barba cosa hai sentito?

«La barba? Quando mi sono guardato allo specchio e avevo tre peli! Non puoi capire la soddisfazione, io a zero non mi sono mai rasato. Da quando mi è cresciuta la barba non mi sono mai rasato a zero, non ce la posso fare. Poi già sembro un pischellino, se mi rado è la fine! (ride). Il percorso da zero peli a tre peli comunque è sudato».

Quanto ci è voluto?

«Ci sono due tipi di terapia, a Firenze, e abbiamo fortuna che in Toscana gli ormoni li passa la USL: uno è il gel, che ti devi dare la mattina o la sera, tutti i giorni. È un tipo di testosterone che nell’organismo dura 24 ore. Poi c’è la puntura, che nell’organismo dura 12 settimane. Ho deciso di usare il gel, avevo anche sentito di altre esperienze di ragazzi che avevano usato la puntura e sono stati male: calcola che prendi la prima puntura oggi, la seconda deve essere ravvicinata alla prima, e poi conti 12 settimane. Ho iniziato col gel, dopo 3 mesi il ciclo ciao, dopo 3 o 4 mesi ti inizia a spuntare qualche pelino, ed è stata un’emozione grandissima e sudata. La prima cosa che facevo la mattina era andare allo specchio per vedere se era successo qualcosa durante la notte. Dopo 10 mesi ho fatto la puntura, e ho avuto la fortuna di stare bene, ma ti dico la verità: dipende come la prendi. È vero che è impegnativo e duro, ci vuole coraggio e pazienza, ma dipende come lo affronti: se la prendi in modo positivo, senza pensare “ora prendo il testosterone, chissà che succede”…ci sono dei ragazzi che la prendono così, ed è bruttissimo. Dico sempre a chi inizia di prenderla tranquillamente, e c’è un trucco: essere ironici, anche su noi stessi. Io ci rido sempre, su battute anche stupide: “Oh, guarda il trans”! Certo, guarda come sono figo! (ride) Ho avuto un ragazzo che mi ha seguito, è stato il mio mentore e mi ha insegnato tutte queste cose: ed è vero. Dobbiamo scherzare sull’affrontare la transizione, perchè serve a riuscire a sopravvivere. Non prendiamocela».

Magari con un limite però, al non prendiamocela.

«Certo, quello sempre. Ti racconto un’esperienza che ho avuto io: lavoro nel tessile, e mi è capitato di essere discriminato al lavoro quando ho deciso, dopo aver iniziato il testosterone, di andare nel bagno degli uomini. Finchè non si vede puoi andare in quello delle donne, ma diventa pesante: alle volte le donne sono carogne, te lo dico! (ride). Ho iniziato con gli ormoni e ho detto basta, voglio andare nel bagno degli uomini: ho preso il responsabile e gli ho detto del percorso, ma ci vuole coraggio. Ho passato dei giorni a pensare “glielo dico, glielo dico”, e non sai come reagirà la persona che hai davanti: devi essere abbastanza forte da farlo, però, perché se sei indeciso è finita, ti mangiano. Sono andato li e ho detto: “sto facendo questo percorso, e da oggi io andrò nel bagno degli uomini”. Mi ha detto che andava bene, non c’era nessun problema. Ti faccio una parentesi: a lavorare c’erano marocchini, tunisini, gente da mezzo mondo. Il problema non era loro: era degli italiani. Comunque, vado nel bagno degli uomini, esco e trovo un gruppetto di uomini “oh, guarda è quella il trans! E’ lei!” Sempre “lei”. Un giorno, due giorni, sempre la stessa storia. Vado dal responsabile anzi, prima ci è andata una mia amica che gli ha fatto una parte incredibile e l’ha ribaltato come un calzino: quando ci sono andato io mi ha detto: “Se succede di nuovo dimmelo, perché io li butto fuori”. Sono andato in bagno, sono uscito e uno di quelli che mi prendeva in giro è venuto da me e mi ha detto: “Guarda, scherzavamo”. Gli ho detto: “Ascolta, non me ne frega niente di vedere la porta aperta dove sei in bagno te e affacciarmi perché ti voglio guardare l’uccello. Ma anche se mi dovesse garbare l’uccello non vengo da te a aprire la porta per vedertelo. Per me la finiamo qui”. Ed ho continuato con la mia vita, molto tranquillo. Però ci sono persone che dopo aver subito questi atteggiamenti si uccidono, dipende dalle persone, capisci la gravità della situazione? Succede a me? Ok, sono stato forte, ma se capita a un ragazzo di 20 anni che non ha la forza di rispondere o reagire perché, fondamentalmente, è solo? Ecco perché servono le comunità».

Come uomo trans, a Prato, hai mai avuto l’impressione di non essere al sicuro?

«A volte sì, la paura l’ho sentita. Ma niente, vado avanti lo stesso. Paura si, è chiaro, non averne è folle. Di certe persone devi aver paura: ma se ti fermi vincono loro».

E a Prato cosa manca?

«Mancava il centro Lgbt, adesso c’è. E c’è passata un sacco di gente. Servono queste associazioni, servono luoghi. Noi l’abbiamo perché ci siamo autofinanziati, sennò lo aprivamo nei denti. Serve informazione, soprattutto».

A parte quella che fate voi, l’informazione potrebbe essere fatta a livello istituzionale?

«Sarebbe il top, loro potrebbero essere la ciliegina sulla nostra torta».

Nel momento in cui un comune o una regione inizia a dire “diamo una spinta anche noi” poi la spinta magari funziona anche sui centri.

«Si, bisogna partire, e ci vogliono anche un po’ di agganci. All’ospedale ci sono sportelli che possono fare queste cose? Non lo so. Ci sono sportelli dove informarsi se fanno questi interventi con la relazione col tribunale e tutto ciò che serve? Lo possiamo fare? Io non lo so. Dove posso andare a sentire? Se magari da quest’articolo esce fuori qualcosa ben venga, siamo prontissimi. Posso dire un’ultima cosa?».

Vai.

«Mai rinnegare ciò che sei stato prima, perché quello che sei stato prima ti ha permesso di essere quello che sei. Poi certo, dipende anche dalle esperienze che hai avuto nella vita precedente, va benissimo: ma io grazie a Sara, mi chiamavo Sara, sono cresciuto e sono riuscito a fare questo percorso, con tutte le esperienze brutte e belle. Non rinnegherò mai quello che sono stato, e anche questo è un trucco per non cadere in un pessimo stato mentale. Tante persone invece si annullano: le esperienze che hai vissuto prima ti servono, esistevi anche prima, ed è fondamentale per vivere bene il tuo nuovo presente».

Andrea si è sottoposto a isterectomia il 29 novembre.