Roberto Vecchioni
Foto gentilmente concessa dal Politeama Pratese

Sofocle e la guerra in Ucraina. Leopardi, Guccini e De Andrè, e Troisi anche, con la sua comicità riflessiva. È un fiume in piena, lento e costante però, Roberto Vecchioni. Attinge a piene mani dalla sua cultura – vastissima – senza tuttavia farlo pesare. Si prende gioco persino della sua carta d’identità, che il prossimo anno segnerà gli 80.

In un Politeama gremito, Nini, il nomignolo affettuoso con cui lo chiamava sua mamma da piccolo, sa ancora emozionare, in musica e parole.L’idea del vivere, che sta sopra a tutto, è la chiave di volta che permette di “leggere” le sue canzoni, tutte. E l’amore anche, che scalda il cuore, ed evita l’imbarbarimento dell’essere umano. C’è spazio per ascoltare alcuni pezzi del suo ultimo album, “L’infinito”, uscito a fine 2018 e che contiene, tra gli altri, un duetto con l’altro grande vecchio della musica italiana: Francesco Guccini. “T’insegnerò a volare” è una ballata “determinista” che torna a mettere al centro l’uomo, e la coppia. Finita all’alba di un giorno qualunque e portata “a mano” sulle montagne pistoiesi il giorno stesso per farla ascoltare a “quel burbero che si è emozionato tanto da commuoversi”.

E poi “Cappuccio Rosso”, che parla della guerra all’Isis di una giovane combattente. È questo il gancio perfetto per il professore per dire no ad ogni guerra, passata e futura, ma soprattutto presente. Senza però fare nomi, senza però lanciare nessuna accusa specifica. Con “Ho conosciuto il dolore”, canzone del 2013, si apre invece la pagina dell’amarcord, che prosegue con “El bandolero Stanco” e “Chiamami ancora amore”, brano vincitore di Sanremo nel 2011.

Ma l’acme il cantante originario di Carate Brianza, com’era prevedibile, lo raggiunge facendo un balzo indietro nel tempo di oltre 25 anni, con “Mi manchi”, e “Luci a San Siro”, con cui il pubblico, un caleidoscopio di diverse generazioni, si stringe insieme in un lungo ipotetico abbraccio, che si scioglie con la fatalista “Samarcanda”, per molti quasi il suo marchio di fabbrica. Ti lascia con un senso di cambiamento tra le mani e nella testa Vecchioni. Abbandonato il probabilismo giovanile degli albori, te lo ritrovi, dopo quasi 50 anni di carriera, determinato determinista. Chapeau professore. Ancora una volta.