astrogang

Suonano vestiti con dei tutoni spaziali, vengono dallo spazio (credo), pilotano super robot e si chiamano Astrogang: la band formata da Lorenzo Clemente, Lorenzo Coppini e Paolo Pierattini esce oggi, giovedì 9 giugno, con il disco “Astrogang” prodotto da Santa Valvola Records (solo ed esclusivamente in vinile) e li troverete sul palco numero due dell’Off Tune Festival subito dopo i Dinosaur Jr. proprio stasera. Noi abbiamo parlato con Lorenzo Clemente del progetto, della musica e dei super robot giapponesi.

Chi sono gli Astrogang?
«Lorenzo Coppini alias “Bob”, perché ogni personaggio ha il suo nome. Volevamo mettere “Boob” o “RoBob”, ma alla fine è rimasto “Bob”. Io sono “Mr. Clementø”, perché è così che mi chiamavano quando lavoravo all’immigrazione, e Paolo Pierattini, il cantante e frontman, è “PDK”, che sta per “Paolo dei Kenny” perché lui era nei KennyMuoreSempre. Io mi occupo dei testi, del concept, dei videoclip che poi vengono proiettati durante gli show, e sono la seconda voce. Mi hanno trascinato dentro. Bob è stato coinvolto in seguito per la parte live, perché comunque la batteria ti porta via, anziché usare le basi e basta. E ora adiamo avanti così».

Com’è nato il progetto degli Astrogang?
«In realtà è nato come uno scherzo: per il Natale 2020 avevo preparato un biglietto di auguri per un amico che tarocca i cartoni, tipo li disegnava storpiati, anche se lui in realtà disegna benissimo. Per Natale gli volevo regalare una maglietta con un cartone disegnato male da me, e avevo inventato questo “Ghetto Robotto” da Getter Robot, e feci questo biglietto di auguri insieme alla maglia con una presunta sigla che scrissi in mezzora. Paolo ha visto questo biglietto, ha detto che era musicabile e per Natale mi ha inviato il pezzo musicato e io ho detto: “Non stai bene”.
Da li è partita questa cosa di Astrogang, e abbiamo deciso di restare fedeli al panorama super robot per creare un prodotto coerente e con un concept. Però non c’entriamo niente col Lucca Comics. Insomma dallo scherzo allo spazio profondo».

Ma volevate fare un gruppo, fondamentalmente?
«In realtà è stato un caso: io ho scritto di getto quella sigla, poi ci siamo immaginati gli altri robot riadattandoli. Noi siamo i piloti, i robot sono cinque, sono la Crew Robotika, con la kappa. Sono i super robot della cultura pop giapponese riadattati agli stereotipi dell’universo rap con un approccio punk. Astrogang è un’incursione punk nel mondo rap. Ci sono anche altri pezzi, non parliamo solo di super robot: per esempio “Gangsta Tutorial” ti spiega come diventare gangsta in tre mosse, e nella seconda strofa ti spiega come fare un testo gangsta. Abbiamo anche “Grand Theft Autism” con l’intro di Yuri Tuci, e ne arriveranno altre. Vogliamo conservare un lato demenziale, autoironico, ma fatto in modo molto serio. Per fare i coglioni bene bisogna essere più seri di quelli seri».

Come fate a guidare cinque super robot se siete in tre?
«Quello è un mistero. Si guidano da soli».

Qual è il tuo robottone preferito?
«Mazinga. Il nostro si chiama MikeZinga».

Gli altri chi sono?
«Ogni robot si rifà a un elemento del rap classico: “MiKeZinga” viene da mic, il microfono, “pass the mic”, “Beet robot d’acciaYo” fa i beat e dice yo, “Daitrap Tre” è il robot che vaga nello spazio lanciando il suo messaggio con l’autotune e venendo deriso da tutte le galassie tranne che sulla Terra, dove viene acclamato perché l’autotune viene molto amato ancora per motivi misteriosi. La base del pezzo è di Lester Nowhere, che ci capisce più di noi di trap. “Ghetto robotto” e poi l’ultimo, che secondo me ce lo censureranno in un botto di piattaforme, che è “Tekka Nigga”: il nero spaziale che viene sulla terra e gioca nella Lazio (perché fa rima con spazio) per insegnare alla gente a chiamare le persone come lui “neri” e non “di colore”, giocando sul fatto che “di colore” non ha senso perché il nero è un colore acromatico, e chiamare uno nero “di colore” quindi non ha senso».

Quanti pezzi ha il disco?
«Sette: i cinque super robot, “Astrogang” che se vuoi è la sigla, e “Gansgta tutorial”. Il disco esce solo in vinile prodotto da Santa Valvola. Sono 200 vinili. Poi da settembre i pezzi saranno disponibili anche online, come su Spotify».

Quanti concerti avete già fatto?
«Tre, ma tutti qui a Prato, abbiamo fatto il “Chilometro Zero Tour”. A Seano, alla Birreria di Prato, al Monsters e ora siamo a Officina. Il 25 giugno dovremmo essere a Siena, alla “Corte dei miracoli”, e si spera di girare il più possibile da settembre».

Come reagiscono le persone? Ho visto un sacco di gente innamorata persa di voi.
«Ma infatti è strano, la gente è presa benissimo. Poi giochiamo anche in casa, dobbiamo tener conto di questo, ma tante persone lontane da questo genere, che poi comunque non saprei nemmeno definire…è punk rap, non il rap classico che ascolti in radio. Paolo rappa, ma a modo suo, con un approccio autodistruttivo e di destrutturazione. L’obiettivo è farla prendere bene e divertirsi senza metterci nessuna morale: avevamo qualche pezzo più di critica ma abbiamo preferito restare nel demenziale che comunque ti permette di dire un sacco di cose ed esprimere dei concetti. Ci sono piccoli concetti, nel disco: chiaramente non ci sono grandi verità, perché chi pretende di rivelarle fa dei pezzi terribili e pretenziosi. Mostruosi».

Pensate di restare sul tema dei super robot anche col prossimo disco?
«Non lo so, ma tendenzialmente per me no: bisogna cambiare un po’. La prima volta va bene, poi avresti rotto le palle. Sarebbe bello fare anche un featuring con qualcuno ma è difficile».

Lanciamo un appello allora.
«Ok: ci serve una voce femminile per fare un finto R N’B. Ma non fissa, ogni tanto».