ramy essam
Foto di Tatiana Boretti

La voce della rivoluzione egiziana ha suonato martedì sera all’Anfiteatro del Centro Pecci per il Festival delle Colline. Ramy Essam, l’uomo che nel 2011 cambiò la storia del suo paese in Piazza Tahir e che si trova per la seconda volta a Prato in un anno (dopo la produzione teatrale che il Fabbricone ha fatto sul suo personaggio e sulle sue canzoni nella scorsa stagione) ha fatto un concerto con la sua band di quasi due ore, tiratissime e assai partecipate.

I pezzi, fatta eccezione per le cover di Woody Guthrie, John Lennon (I don’t want to be a soldier, I don’t wanna die) e Soundgarden (Rusty Cage, molto vicina alla versione che ne fece Johnny Cash nelle sue American Recordings) tutti cantati in egiziano, Ramy Essam li introduceva in un nitido inglese illustrandoci così le sue storie che parlano di diritti umani negati, di poliziotti cattivi e di lavaggi del cervello di massa, di dittature e di lavoratori eroici. Quasi come in un film di Ken Loach.

Un artista arrabbiato a ragion d’essere, alla faccia di una moltitudine di incazzati per posa. E anche la musica risente di questa incazzatura, in una sorta di cross-over tra grunge (Soundgarden e Pearl Jam in testa) e melodie arabe, tradizione mediorientale e rock occidentale. Un bellissimo concerto, segnato dalla precisione di una band svedese (Ramy è esiliato da anni in Svezia) e dalla sua presenza dirompente, purtroppo seguito da un’audience numericamente bassa. Peccato per chi non c’era.

Prima di Ramy Essam, il concerto di Charlie Risso, cantautrice genovese al secondo album in lingua inglese. Un timbro vocale molto simile a quello di Dolores O’Riordan e una produzione gradevole, tra il dream pop e il folk rock, ma molto derivativa.