silvia pelizzari

La figura di Tiresia ha attraversato i generi e i secoli. Forse, però, reso cieco e indovino dagli dèi, è andato oltre il genere, e ha visto il futuro. Questo è Tiresia, un podcast di Silvia Pelizzari che parla di letteratura queer edito da Emons Edizioni.

Silvia Pelizzari sarà ospite del Centro Pecci Books Festival venerdì 7 ottobre alle 17 in dialogo con la poetessa e blogger Francesca Matteoni.

Al Centro Pecci Books Festival lei presenta “Tiresia”, che non è un libro ma un podcast…

«Sì, diciamo che essendo un podcast letterario si presta bene a rappresentazioni che riguardano la letteratura. È un podcast però anche sulla scrittura, sui nuovi modi di scrivere, su un nuovo modo di fare divulgazione, perché ovviamente la scrittura per i podcast è scrittura, ma una scrittura totalmente diversa rispetto a quella, per esempio, di un saggio e di un articolo. È stato anche un po’ quello che volevo fare io, cioè mettermi alla prova con una nuova tipologia di linguaggio, perché è il linguaggio che poi serve per essere ascoltato. Noi tendenzialmente scriviamo per essere eletti, non scriviamo per essere ascoltati. E in questo senso presenterò un podcast letterario che affronta il tema, ovviamente, degli autori e delle autrici di cui ho parlato, ma si presta anche a tutta una serie di discorsi sulla contemporaneità, sia ovviamente da un punto di vista linguistico che da quello dell’attualità politica. Nel senso che ovviamente tutto ciò che gira attorno ai diritti di solito finisce lì».

Probabilmente perché ce n’è bisogno.

«E anche perché la letteratura è molto spesso uno specchio della società. Scrivendo e studiando questi autori e queste autrici ho notato che essendo di età diverse e di epoche diverse, e muovendosi in contesti non solo geografici, ma anche sociali ed economici molto diversi tra loro, il modo in cui si parla della “queerness”, quindi di tutto ciò che non è eteronormato, cambia addirittura anche all’interno della produzione di uno stesso autore. Nel senso che è ovvio che uno scrittore che è stato tale all’inizio del Novecento affronta l’omosessualità e la propria omosessualità in modo diverso rispetto a un autore che è giovane oggi, e questo ci sta. Però secondo me è molto interessante vedere come all’interno della poetica di uno stesso autore, cambiando i decenni, quindi cambiando la società, se ne parli in modo diverso, perché è diverso il contesto in cui poi noi agiamo, facciamo politica e viviamo proprio a livello sociale».

Mi viene in mente la letteratura del mondo antico dove l’amore di una donna per una donna non era niente di particolare ma una cosa che possiamo definire normale. Poi nei secoli le cose sono peggiorate fino ad arrivare ai giorni nostri, un periodo in cui forse le cose stanno migliorando.

«Non sono una storica, quindi non entrerò nei dettagli. Però proprio l’altro giorno ho letto un articolo molto interessante su come in realtà i vestiti abbiano iniziato ad essere da uomo e da donna non moltissimi secoli fa. Quindi è ovvio che nell’antica Grecia, dalla quale arriva il mito di Tiresia, che da uomo diventa donna, o per i romani l’omosessualità non fosse chissà quale stranezza. Sicuramente ci sono stati tanti condizionamenti a livello sociale. E io poi non ripeto, non sono una storica, quindi non lo so che siamo su una strada, diciamo giusta, nel senso che al di là delle recenti vicende politiche italiane e quindi vedremo cosa succederà, però in linea generale. io lo dico. Lo dico spesso. Secondo me oggi la letteratura queer è molto più presente. Le storie queer sono molto più presente. Ma anche nella letteratura, diciamo per adolescenti, no, è molto più facile trovare ehmm persone, non binari, persone con un’identità fluida. È persone bisessuali nei libri. Io ho quarant’anni. Quando io andavo a scuola non esisteva questa cosa non esisteva questa cosa, quindi sicuramente se ne parla molto di più. Un po’ Perché è giusto così. Un po’ anche perché c’è un’onda da cavalcare. E lo dico in senso buono. Non credo che abbiamo ancora la libertà dei nostri antenati. Quella non la non l’abbiamo. Io non so se riusciremo mai ad avere, ma perché ci siamo evoluti, purtroppo o per fortuna, in certe certe modalità e quindi quella cosa lì è difficilmente replica o comunque difficilmente raggiungibile, secondo me.

Ascoltando “Tiresia” e anche pensando a tutti i libri che ho letto, mi è capitato molto raramente di leggere storie queer che fossero avulse dalla realtà.

«È una cosa che anche nel mio podcast si nota, nel senso che tranne Sarah Waters, che scrive romanzi storici e quindi diciamo lontani da lei e non parla di sé, tendenzialmente le storie queer tendono ad essere storie vere. Sono memoir, sono comunque autofiction. Questo non significa che non esistano storie in cui la queerness sia presente, che non ci siano dei personaggi bisessuali, omosessuali, transessuali o persone trans. Esistono ma diciamo che se il centro della storia è questo tema si tende a portare se stessi sulla pagina. Secondo me questa è una fase. Ripeto, lo dico totalmente da non addetta. Non sono una scrittrice, non sono una una critica né una studiosa. Però credo che siamo in una fase in cui è necessario far vedere che si esiste e quindi per farlo si entra a gamba tesa, si dice “Io sono solo questo. Io esisto. Voglio queste cose. Questo è quello che mi è successo. Guardate cosa mi è successo. Non voglio che succeda ad altre persone”.

Parlando con tante persone della comunità LGBT viene spesso fuori il bisogno di essere visti come si è e ci si sente nella propria quotidianità. Qualcosa di molto lontano dalla tragicità e dall’eccezionalità di tante rappresentazioni cinematografiche. Credo ci sia il bisogno di essere inseriti nel mondo come una persona qualsiasi, normale nell’accezione positiva.

“In realtà la volontà di scrivere questo podcast è nata per diversi motivi. Una tra questi era dare una rappresentazione, mi sono immaginata persone che leggono o persone che non leggono e che vorrebbero leggere delle storie che parlino anche di loro, ovviamente in forme diverse. No, io quando ero una ragazzina so mi ricordo che leggevo Brizzi perché ero una studentessa che voleva parlare. la musica, le cose leggevo due di due di De Carlo perché volevo capire l’amicizia e quindi l’idea era voler dare una rappresentazione e dire storie che ci sono, Queste storie esistono e possono dimostrare a te che qualcuno prima di te può aver passato le stesse cose. Può aver avuto lo stesso struggimento, puo’ aver avuto le stesse difficoltà in famiglia, le stesse difficoltà con gli amici, con la scuola e nel mondo. È vero che c’è la tendenza ad attuare anche in questo caso un binarismo. Purtroppo nelle storie queer, soprattutto nel cinema ma anche in letteratura tendenzialmente è o muoio o sono emarginato o emarginata e comunque soffri. L’happy ending c’è raramente. E anche questo stereotipo è sbagliato, perché ovviamente non è che tutte le persone non eterosessuali abbiano vite tremende, anzi».

È possibile scrivere storie queer senza fare anche senza volerlo un minimo di attivismo? Se una persona lesbica scrive un film o un libro sulla sua vita ci sarà sempre chi lo prende come un atto di attivismo.

«Mi viene da dire meno male, perché credo che qualsiasi cosa sia politica. Cosa decidiamo di mangiare è politico, la battaglia che decidiamo di portare avanti è politica, il linguaggio che usiamo è un gesto politico. Quindi anche scrivere e decidere cosa scrivere e decidere come farlo è un atto politico importante. Poi, per esempio, Sarah Waters è una storica, una accademica che si è laureata in storia dell’omosessualità e della bisessualità, o comunque ha sempre trattato questi temi in epoca tardo vittoriana e quindi nei suoi libri racconta delle storie che in superficie sono delle storie ambientate fra le signore benestanti di fine Ottocento. Però anche scrivendo una storia che non sembra politica, Sarah Waters riesce a parlare dei rapporti di potere, riesce a parlare di femminismo, riesce a parlare dello sguardo dell’uomo sulla donna. Credo che qualsiasi storia abbia comunque dei risvolti politici».

Nel podcast si usa un linguaggio parlato. Nei libri possiamo usare lo Schwa, possiamo usare l’asterisco. L’italiano è un linguaggio che non ha queste sfumature. Come si fa a trasportare questa sensibilità in un podcast?

«Nel mio caso è stato un po’ un fallimento. Nel senso che innanzitutto ho parlato di autrici e di autori che si rispecchiano del genere maschile e femminile. Quindi diciamo che ho avuto vita facile. Volevo parlare di una persona non binaria ma poi ho deciso di abbandonare il progetto. Ho fatto degli esperimenti, nel senso che credo, per esempio, che in brevi interviste lo Schwa anche nel parlato non rovini niente. Io lo uso tranquillamente in brevi frasi, in brevi botta e risposta. Ho provato a usare il neutro per tutta la durata di una puntata. Ovviamente ci ho messo dieci ore a scriverla anziché tre. Parlare al neutro comporta girare delle frasi e quindi era tutto molto complicato. Ho fatto anche l’esperimento di provare a parlare un po’ al maschile e un po’ al femminile. Però sono arrivata alla conclusione che la versione audio avrebbe confuso l’ascoltatore, perché a differenza della pagina scritta, che uno può tornare indietro e rivedere alcune cose, nell’audio non avrebbe capito chi stava parlando in quel momento. Non sono arrivata ad una soluzione: una persona non binaria non si riconosce né nel genere femminile né in quello maschile, quindi marcare il binarismo anche nel linguaggio mi è sembrato più dannoso che utile. Io credo che che le risposte arriveranno con il tempo. Ho deciso di parlare solo di persone che si identificano con un genere, quindi me la sono cavata così. Credo però che la lingua cambi nel tempo e quindi ad un certo punto qualcosa succederà. Oggi ho a disposizione questa lingua e nessuna soluzione tentata mi sembrava corretta o qualitativamente adatta per il prodotto che intendevo offrire».


Come nasce l’idea di “Tiresia”?

«C’è stata una spinta personale e una spinta un po’ più collettiva. Quella personale è che stavo scrivendo un romanzo che non riuscivo a finire, e che non ho finito. Avevo bisogno di non pensarci, di sciogliere le mani su qualcosa. In quel periodio, era il 2021, il podcast stava esplodendo e io ho pensato che mi sarebbe piaciuto farne uno. Stavo leggendo molti libri con storie queer e quindi ho pensato “perché non proviamo a dare una piccola mappa di autori e autrici”? Mi è sembrato insomma di poter fornire una mappa, tracciare una costellazione di autori da cui partire nel caso qualcuno avesse bisogno di una rappresentazione, di trovare la propria storia in altre storie, o anche solo volesse affrontare l’argomento in modo più approfondito».

Se dovesse consigliare qualcosa da leggere a qualcuno?

«Oddio, è difficile. Dipende dai gusti personali. Consiglierei però “La stanza di Giovanni” di James Baldwin. Non è stato inserito fra gli autori di “Tiresia” ma è uno dei libri più belli che io abbia mai letto, e poi Jeanette Winterson, perché penso che “Perché essere felice quando puoi essere normale” abbia la giusta dose di auto fiction e di saggio, un memoir romanzato secondo me molto interessante. Anche se io sono una grandissima fan di Tondelli, quindi se posso dire un terzo libro direi sicuramente “Camere separate”. È uno dei miei libri preferiti. È drammatico, tragico però ha una poesia incredibile, ha una letterarietà altissima pur parlando di cose molto semplici. E poi è ambientato a Correggio e io ho vissuto tanti anni in Emilia, quindi me lo fa sentire ancora piu’ vicino».