L’ultima volta che abbiamo scambiato due chiacchiere coi Tanks and Tears era il 2015 e mancavano ancora due anni all’uscita del loro primo disco, “Aware”. Nel 2022 sono tornati a pubblicare nuova musica dopo essere stati fermi per anni: nel frattempo si è aggiunto alla formazione originale Lorenzo Cantini e, non so se l’avete notato, c’è stata anche una pandemia che ha costretto tutti, e soprattutto il mondo dell’arte e dello spettacolo, a restare fermi. Il nuovo singolo si chiama “Nightmare” ed esce, come il materiale degli anni passati, per l’etichetta svizzera Swiss Dark Nights. Per l’uscita del nuovo album dovremo aspettare che siano passati i primi mesi del 2023.

I Tanks and Tears sono Matteo Cecchi a voce e basso, Claudio Pinellini a chitarra e sintetizzatori, Francesco Ciulli alla batteria e Lorenzo Cantini a tastiere e sintetizzatori.

Da quanto non pubblicavate nuova musica?

Claudio Pinellini: «Dal 2017. nel frattempo c’è stata una pandemia che ha bloccato un po’ tutto. Siamo stati fermi per tre anni alla fine. Lorenzo è entrato nel gruppo (Lorenzo Cantini) e c’è stato un piccolo periodo di assestamento, con un certo cambio di tendenza a livello musicale: questo ha richiesto un lavoro di adattamento per arrivare a quello che hai ascoltato, e che spero tutti ascolteranno».
Matteo Cecchi: «Il primo album è uscito nel 2017, fino al 2018 abbiamo suonato anche fuori Italia. Lorenzo è entrato a fine 2018 e con lui abbiamo fatto solo due live, nel 2019. Con la pandemia si è fermato tutto, non potevamo nemmeno provare: non potevamo cambiare comune e le nostre sale prove erano prima a Sesto Fiorentino, e poi a Bagnolo. Ho iniziato a risistemare i provini già registrati a casa mia, e quando la situazione si era sbloccata il danno era già fatto: i nostri suoni erano cambiati e abbiamo proseguito su questa strada. La musica nuova ci dà soddisfazione, siamo contenti».

C’era il timore di uscire dal sentiero classico della dark wave e della new wave?

CP: «Più che di uscire c’era quello di entrarci definitivamente, ma l’evoluzione è stata naturale. Prima c’era sempre uno stampo abbastanza post rock: per quanto ci avvicinassimo a quel genere non l’avevamo mai abbracciato totalmente. Adesso forse sì, ma sempre mantenendo la nostra impronta. Ora inizieremo a truccarci e vestirci solo di nero (ride)».
MC: «Abbiamo scelto di far uscire subito i pezzi più “tamarri” proprio per liberarci da questa cosa, ma nel disco che uscirà nel 2023 ci sono anche dei pezzi col chitarrone».

Con Lorenzo è cambiato qualcosa anche dal punto di vista compositivo?

MC: «Prima andavamo in sala prove, componevamo, partivamo un po’ alla “Saint anger”. Tanto materiale del disco nasce da quelle registrazioni, risistemate e riviste, alcuni pezzi invece sono nati da alcune mie idee, a casa mia, e poi sono stati sviluppati nella famosa “cameretta”. Spesso ora ci vediamo da me per comporre: nascono più in studio che in sala prove».
CP: «Ora sono meno spontanei e più studiati: forse perché questo genere richiede un grado di accuratezza maggiore. Anche il fatto di non poterci vedere ci ha costretto a reinventarci da questo punto di vista».

Ho parlato con altre band che durante la pandemia non riuscivano nemmeno a scrivere.

MC: «Noi invece siamo stati stimolati, ci ha obbligato a trovare un altro modo per farlo. Non sarebbe stato possibile altrimenti».
CP: «Era il modo originario di scrivere quando eravamo in due, in realtà: abbiamo riscoperto un po’ le nostre radici».

Il disco uscirà anche in formato fisico?

MC: «Sicuramente in CD, speriamo di farlo uscire anche in vinile, che è il sogno nel cassetto insieme a suonare in centro a Prato, in apertura a qualcuno. Anche il singolo, con “Nightmare”, uscirà in formato fisico ed è pre ordinabile sul sito dell’etichetta. Ne avremo qualche copia anche noi, ma le venderemo solo ai live».
CP: «Il percorso che porterà all’album fisico è in cantiere: questa è la prima, poi usciranno altri singoli e video prima del disco. Se a un certo punto riusciremo a organizzare anche qualche concerto credo, e spero, che le persone avranno grosse aspettative.

Ora i dischi si vendono ai live.

MC: «Anche il disco precedente, “Aware”, si vendeva sopratutto ai concerti. È più facile che le persone lo comprino da fuori Italia, in digitale, per assurdo. Sono pochi quelli che continuano a comprare dischi fisici».
LC: «Con il telefono basta cercare un gruppo per ascoltarlo».
MC: «Le persone hanno cambiato il modo di ascoltare la musica, ma in peggio: si mettono il telefono all’orecchio e via. Ho paura che muoia la voglia di scoprire cose nuove».

Dopo quasi 20 anni in cui tutto è finito in digitale c’è un revival del supporto fisico, dalla pellicola fotografica al vinile.

MC: «Probabilmente perché le persone hanno bisogno di toccare con mano le cose».
PC: «Lorenzo prima parlava di “feticcio” e sono d’accordo, ma non si più invertire il corso del fiume. Dobbiamo adeguarci ai tempi che cambiano e adattarci, se vogliamo evolvere».
Lorenzo Cantini: «L’oggetto in sé non ha più valore: è tutto a portata di mano e perdiamo l’idea di quanto siano importanti certe cose. È importante far vedere ai bambini i libri, o i dischi: magari le nuove generazioni riusciranno ad avere di nuovo voglia di queste cose manuali. C’è bisogno di poter “toccare” la cultura, anche se la fruibilità è sicuramente maggiore col digitale: è più facile raggiungere le persone, ed è più facile far arrivare la tua musica ovunque».

Siete i primi che mi parlano favorevolmente della digitalizzazione della musica.

CP: «Se dovessi rispondere con la logica pura della rockstar ti dovrei dire che è un abominio ma ripeto: dobbiamo adattarci ai cambiamenti. Ora ci sono un sacco di persone in più che riescono a fare musica. Ovvio che nel mucchio rischi di perderti, ma sono convinto che se uno è bravo riesce a spiccare comunque».
LC: «Diciamo che il digitale dovrebbe essere utilizzato al meglio, ma se avessi avuto 18 anni adesso avrei buttato sicuramente tutto su MySpace il giorno dopo».
CP: «L’utilizzo del termine MySpace tradisce la nostra vecchiaia».

La Toscana ha una sua storia con la dark wave e la new wave, dai Litfiba ai Neon: voi avete guadagnato qualcosa da questo ambiente?

MC: «Sì e no: dobbiamo ancora affermarci. Vedendo i numeri degli ascolti su social e piattaforme ci ascoltano più fuori che in Italia, ma qui da noi è Firenze che ci ascolta di più, anche più di Prato».
CP: «Nemo profeta in patria, vorrei aggiungere».
MC: «Abbiamo una fanbase che ci segue, anche il video è andato bene: non usciva niente da 5 anni, l’abbiamo promosso solo tramite i social e abbiamo raggiunto circa 1000 visualizzazioni in una settimana. In questo periodo in tanti ci scrivevano chiedendoci che fine avessimo fatto, speriamo siano felici del nuovo materiale».
CP: «Siamo come il Tavernello: non siamo male».

Avete concerti in arrivo?

CP: «Al momento no. Abbiamo l’esigenza di ritrovare una nuova modalità di suonare live, impostare di nuovo i suoni, provare qualche pezzo vecchio riarrangiandolo. Avendo il disco in cantiere rischia di essere un passo un po’ troppo azzardato, forse non sarebbe un’ottima idea. Il disco sta venendo molto bene e non mi sembra il caso rovinarci con un live mediocre. Stiamo puntando anche sull’aspetto social: se prima non davamo molta importanza a quel mondo adesso siamo anche su Tik Tok. La visibilità è evanescente, ma è sempre visibilità: restare fermi per anni, come noi, è stato un rischio».

In Italia avete mercato o dovete andare oltralpe?

MC: «Suonare nei club è ancora difficile: la pandemia sembra una scusa, ma è stato un problema serio e continua ad esserlo. Per il nostro genere i locali sono quelli: una volta che hai fatto quelle serate in un anno non ne hai altre. Speriamo di entrare anche in ambienti diversi, aperti a vari generi, ma resta il fatto che fuori sarebbe più facile. Vedremo se riusciamo ad organizzare qualcosa quando il disco sarà uscito».
CP: «Dal punto di vista del seguito del genere invece la nicchia è piuttosto forte, in Italia: è musica seguita non solo da chi era giovane negli anni ‘80. La visibilità che ci dà la nostra etichetta, la Swiss Dark Nights, è un altro aspetto positivo. Direi che la situazione è incoraggiante, speriamo che dopo questo periodo ci sia voglia di seguire la musica live, che le persone abbiano voglia di comprare dischi e aiutare gli artisti. Che non si rassegnino a una vita da dipendente pubblico, ma che continuino a sognare di diventare una rockstar».

I Tanks and Tears sono anche su Bandcamp.