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Come può un’istituzione a partecipazione pubblica, quindi sostenuta anche dai soldi dei contribuenti come la Fondazione per le arti contemporanee in Toscana che gestisce il Centro Pecci, permettersi di licenziare due dipendenti senza preavviso e senza informare i sindacati?

Non può, dicono Cgil e Uil nella conferenza stampa convocata mercoledì 30 agosto. E non solo perché il provvedimento non è stato prima discusso nelle sedi opportune come previsto dal contratto Federculture – per questo i sindacati parlano di licenziamenti ingiustificati e di condotta antisindacale. Non può farlo anche per una questione di principio, culturale: uno scivolamento dell’istituzione pubblica nelle dinamiche del privato che porterebbe un’erosione ulteriore dei diritti e delle tutele per tutti i lavoratori.

Per questi motivi i sindacati considerano la decisione del consiglio di amministrazione della Fondazione – che solo il 31 luglio scorso, nell’incontro sul bilancio, aveva dichiarato di non avere intenzione di ridurre il personale – ancora più inaccettabile e proclamano lo stato di agitazione, chiedono la revoca immediata dei licenziamenti, la convocazione di un tavolo di crisi, alla presenza anche del Comune di Prato e della Regione, e puntano a fare quanto più rumore possibile per attirare l’attenzione sul trattamento ricevuto dai due dipendenti licenziati dal Centro Pecci. Rumore che nelle intenzioni potrebbe tradursi in picchetti e atti dimostrativi proprio nella settimana più importante per la città, quella dell’8 settembre.

«Non si può risparmiare sulla pelle dei lavoratori e nessuno può pensare di non passare dai sindacati quando si parla di ristrutturazione aziendale», dice Alessio Bettini, della funzione pubblica Cgil. «Questa è una battaglia di tutti, senza alcun colore politico – rilancia Patrizia Pini della funzione pubblica Uil – Se un ente pubblico licenzia così, cosa potrà accadere poi nel privato?». I sindacati chiedono anche “il dettaglio delle perdite del bilancio che avrebbero, a dire della Fondazione, portato all’impossibilità di prosecuzione dei rapporti lavorativi – si legge nel documento diffuso da Cgil e Uil – e nello specifico chiediamo il dettaglio di tutte le voci di perdita non preventivate, ad esempio se sono state elargite negli anni somme a titolo di risarcimento per contenziosi dovuti a licenziamenti o a chiusure di contratti professionali, a seguito di scelte sbagliate del consiglio di amministrazione”. Il riferimento è all’ex direttrice Cristiana Perrella e anche ad un’altra causa portata avanti in proprio da una dipendente licenziata un paio di anni fa. Più in generale, i sindacati temono che il ricorso sempre più frequente a partite Iva abbia esposto ed esponga il Pecci ad altre cause di lavoro che hanno pesato e peseranno sul bilancio dell’ente.

E poi c’è la politica. Una lettera di licenziamento inviata per posta sarebbe ancora in viaggio. L’altra è stata invece consegnata a mano la mattina del 28 agosto, insieme alla richiesta di allontanarsi immediatamente dal Centro Pecci. Nel pomeriggio del 28 il Comune di Prato sarebbe stato informato dei provvedimenti per poi uscire, martedì 29, con la richiesta di un tavolo di confronto perché “la decisione più grave che un CDA possa prendere, la più gravida di conseguenze, ovvero il taglio del personale, non è stato condiviso con i soci”. «Non si può dare alla cultura solo un valore economico e non si può continuare ad affidare il Pecci a chi guarda solo all’economicità – dicono i sindacati – la politica deve prenderne in mano la gestione». Il sindaco Biffoni ha poi aggiunto che prima di rinnovare il Cda del Pecci vuole vedere come andrà a finire la vicenda.