Massimo Canzonieri - Il mondo di Buba

“Il Mondo di Buba” è uno dei negozi nati con Pop-Up Lab: lo trovate in via Muzzi, e si riconosce bene. Ci sono dentro Mumache mannare, spiriti dei boschi, fantasmi col cappello e Massimo Canzoneri, che è il padre e il creatore di tutte queste creaturine. Ci abbiamo fatto una chiacchierata.

Quando è nato il mondo di Buba?
“E’ nato tutto un po’ per scherzo, ma in realtà sono anni che volevo realizzare delle t-shirt con i miei disegni. Non avevo mai trovato il coraggio per farlo e finalmente due anni fa è successo: ho chiuso un rapporto di lavoro con un negozio nel centro di Firenze e con la buonuscita ho deciso di provare a fare ciò che avevo sempre voluto fare: il debutto c’è stato a settembre 2015 a Firenze in occasione della Vogue Fashion Night, una serata organizzata da Vogue a Firenze e Milano in cui negozi e boutique organizzano eventi per pubblicizzare cosa vogliono. Ho fatto una serata nel ristorante di un’amica con esposizione e vendita. Ho cercato di dare un’impronta molto urban alla collezione, con modelli molto street da unire alle grafiche fantasy. E’ un mondo un po’ incantato con modelli attuali.”

Perchè ti fai chiamare Buba?
“Deriva dall’esperienza di educatore: quando pranzavo coi bimbi in questi tavolini mignon e arrivava la minestra calda un bambino mi diceva “buba” perché bruciava, io non capivo e glielo chiedevo di nuovo, mi faceva ridere e i bambini che mi vedevano ridere me lo ripetevano: da li sono diventato Buba. Poi sono anche uno che buba tanto, che si lamenta: sono un tipo pignolo. Buba è la mia passione per il disegno che ho da quando ho 3 anni: ho sempre disegnato ma i miei mi hanno vietato di fare l’artistico e mi hanno fatto fare il ragioniere, tant’è che a 36 anni la mia passione è diventata così forte che ho deciso che dovevo fare questa cosa”.

Prima di essere Buba cosa facevi?
“Il commesso nelle boutique di firenze: sempre nella moda quindi, ma brand iper classici tipo Brioni, Corneliani, Massimo Dutti, Massimo Rebecchi a Lucca. Non era il mio mondo: non ho mai indossato una giacca prima di lavorare in quei negozi, lo facevo per lo stipendio, per vivere, ma mi sono reso conto che non era il mio mondo. Soffrivo, dovevo esprimermi in qualche modo.”

C’è chi ha definito i tuoi disegni “timburtoniani”, ci dai la tua definizione?
“Devo tornare indietro, ancora prima del lavoro nelle boutique: ho fatto l’educatore nelle scuole materne e negli asili nido e mi sono appassionato ai libri per l’infanzia, alcuni hanno illustrazioni fighissime, piccoli capolavori. Sono stato rapito dal genere gotico ma dolce di alcuni libri, non troppo pauroso, poi sono appassionato di Tim Burton e dei cartoni della mia infanzia, come Lamù o Il favoloso mondo di Paul e Nina. Forse c’è anche qualcosa di mitologico: mi piacciono i boschi, gli animali, il fantasy, la cultura celtica: è un mondo che ho sempre considerato un po’ introspettivo. Disegnare queste cose mi fa stare bene. Ho cercato di unire la mia passione per i cartoni, i mostri e gli animali con quella per la moda e il fashion: mi sarebbe piaciuto trovare un prodotto da comprare che fosse in una certa maniera ma non l’ho mai trovato, e quindi ho deciso di farlo io.”

Hai studiato un po’ di disegno o sei totalmente autodidatta?
“Sono totalmente autodidatta: ho iniziato a disegnare a tre anni, il mio primo disegno è stato un elefante: tornavo a casa da scuola, prendevo le enciclopedie, le aprivo e copiavo gli animali: ho passato l’infanzia disegnare. Qui è tutto in bianco e nero: inizio con la matita, ripasso coi pennarellini e poi creo la grafica per i vestiti. La matita che va sulla carta è una cosa quasi erotica: non faccio niente digitale se non il file per la serigrafia artigianale. E’ tosta: col digitale puoi modificare i disegni, lavorare a mano significa non poter più modificare, al massimo assemblare il disegno con altre cose.”

Ci sono anche personaggi precisi che riusi o no?
“La Mumaca mannara è nata dopo una settimana di montagna: mi sono sempre piaciute le lumache, anche se lei è una chiocciola. Mio babbo aveva un allevamento di chiocciole, aveva costruito loro una vera e propria casa, e io ci impazzivo. La Mumaca mannara non è cattiva: è mostruosa ma dolce, secondo me non fa paura. Ha i denti storti e grandi e va lenta, e forse l’ho disegnata perché ho bisogno della lentezza pure io: è l’ultima grafica. Poi c’è lo spirito del bosco, ho preso spunto da un grande illustratore, John Kenn Mortensen, che fa disegni piccolissimi sui post-it: non è copiato assolutamente, ma se vogliamo trovare un’ispirazione diciamo che viene dalla sua scuola. E’ il mio spirito del bosco, estrapolato dalla grafica della casa infestata che ho fatto. Poi c’è il fantasmino col cappello, che sono io: è il mio alter ego. Mi piacciono cappelli, i papillon e i fantasmi.”

Come sta andando l’avventura di Pop Up Lab?
“L’inaugurazione è partita col botto: bellissima serata e tantissima gente, poi ovviamente un po’ più di calma: dal lunedì al giovedì è una via tranquilla, che si sta riqualificando, ma il fine settimana si rianima. La gente passa davanti, e vedere lo sguardo interdetto delle persone è una bella soddisfazione per me. La gente entra: devo dire che i pratesi sono un po’ sospettosi, ma alla fine comprano.”

Il bando scade a gennaio 2018, tu vuoi andare avanti?
“Io punto a rimanere, a meno che non succeda qualcosa di particolare: ho lasciato un contratto a tempo indeterminato e mi sono buttato a pesce nel Mondo di Buba. L’affitto non è una cifra esosa, e una vetrina serve sempre”.

Ma, di fondo, cos’è il Mondo di Buba?
“E’ un mondo in bianco e nero, anche se alcune cose fatte l’anno scorso hanno botte di colore fluo: adesso il bianco e nero è un’identità del mio stile. Entrare qui vuol dire vedere cose originali, creazioni strane e allo stesso tempo curate. Il Mondo di Buba forse è il mio modo di non voler crescere, il mio essere fanciullo, legato a un mondo di fantasia con i miei mostri, come quello che mi portavo a letto per dormire.”