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“Cari concittadini, grazie e… fate all’amore”. Con queste parole, affidate al sempre presente fratello Giovanni – bussola della sua vita – Francesco Nuti ha salutato ieri sera la sua Prato, la sua Narnali, la sua gente. In un Metastasio gremito, commosso a tratti, e coinvolto sempre, ha rimarcato il suo ritorno, che promette faville. He sì, perché il Nuti è andato… molto in alto… è caduto… molto in basso… ma è anche tornato, eccome, riprendendo in mano la sua vita con carisma e ironia. E questo spettacolo ne è la prova. Quel gruppo di amici – come ha rimarcato più volte Giovanni – quel gruppo di artisti – attori, musicisti e tecnici – ha incantato, narrato e divertito la platea pratese per due sere, riscuotendo lunghi e sentiti applausi. Quella storia semplice quanto straordinaria di Cecco da Narnali alla conquista di Cinecittà è arrivata diretta e cruda, raccontata senza filtri né abbellimenti. La scenografia scabra ed essenziale ha lasciato grandi spazi sia alla band del maestro Marco Baracchino – che ha tessuto dal vivo la colonna sonora entrando a pieno diritto nella narrazione della storia – sia al talento di Nicola Pecci, il giovane attore pratese per la prima volta su un palcoscenico di Prato, che ha interpretato Nuti centrando appieno il compito più arduo: dargli corpo e anima senza mai scadere nella mera imitazione. Davvero bravo.

Una narrazione che è partita da Cecco bambino – il quale, di nascosto dalla madre, correva a giocare nel campo degli zingari di Narnali, dove puntualmente si riempiva di pidocchi – e che è poi passata a raccontare il Buzzi e la sua Rivista, con un Francesco che dal palco del Metastasio si catapulta nel mondo dello show-business. Da qui, infatti, la liaison con i Giancattivi – Alessandro Benvenuti e Athina Cenci, con la quale avviò un intreccio amoroso – e il grande salto da solista nel 1982. Il successo è inebriante: prima come attoreMadonna che silenzio c’è stasera (1982), Io, Chiara e lo Scuro (1983) per il quale vince il David di Donatello e il Nastro d’Argento come migliore attore protagonista, e infine Son contento (1983) – poi come regista. Casablanca, Casablanca (1985), séguito ideale di Io, Chiara e lo Scuro (grazie al quale vinse il premio come miglior regista esordiente al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián e il secondo David di Donatello come miglior attore), Tutta colpa del Paradiso (1985), Stregati (1986), Caruso Pascoski di padre polacco (1988), Willy Signori e vengo da lontano (1990) e Donne con le gonne (1991).

L’apice è raggiunto: i miliardi incassati dai suoi film lo riempiono di boria, macchine e donne, tante, conquistate con la strategia del giocatore di biliardo…altra profonda passione della sua vita, legata alla provincia e al suo caro circolo di Narnali dove restano gli amici più veri “quelli che mi vogliono bene da sempre”. Ma i soldi non fanno la felicità e certo non sconfiggono la sua malinconia. Niente e nessuno ci riesce. Quell’eterna e assillante sensazione di vuoto e frustrazione lo spingono a volere sempre di più, senza gioire mai. Francesco è un “malincomico”, come lo definisce Alessio Sardelli, quell’amico di una vita che nella performance è la voce narrante fuori dal coro che lega le scene e le canzoni alla trama intensa della sua vita. Sì perché, come già detto, Pecci canta, eccome se canta. Interpreta le più grandi colonne sonore di Nuti come Giulia non lo sa e fa salire i brividi con Sarà per te, la canzone che Nuti portò nel 1988 a San Remo e che fu in seguito incisa anche da Mina. Ma l’eclettico attore pratese sa e non osa calpestare il campo più sacro: Puppe a pera. È, infatti, un Francesco giovanissimo e dall’espressione esilarante a cantarla, proiettato sul maxischermo del fondo scena. E gli applausi sono commoventi.

“Io il teatro l’ho fatto per le donne. Inutile negarlo. E ne ho avute tante, ma le ho amate tutte. A volte ho graffiato, certo, ma spesso sono stato graffiato e ho passato la vita a leccarmi le ferite”, ha bisbigliato Pecci in uno dei momenti più intimi dello show. “E ho sofferto d’invidia, tanta, e di alcolismo. Perché l’alcolismo non è un vizio, è una malattia”. Una confessione, un mea culpa, un esame di coscienza, ma anche un grido di rivincita, di risalita dal buio dei primi anni Duemila. L’alcolismo, la depressione, il tentato suicidio del 2003 e poi l’incidente nell’estate del 2006 determinano la sua caduta negli inferi. “Quella caduta che mi ha salvato e dalla quale ho iniziato la mia rinascita”. Oggi Nuti non cammina né parla, ma vola e comunica e crea e vive come e più di prima. In quel suo silenzio ha trovato la pace, la serenità, tanta ispirazione e grandi certezze: l’amore per la figlia Ginevra, per il cinema, il biliardo e le donne, proprio come prima, con un grande ma: la malinconia non fa più parte del suo quotidiano.

“Una storia finisce quando si smette di raccontarla. La mia l’hanno raccontata stasera i miei amici e io ve la racconterò domani con il mio nuovo film Olga e i fratelli Billi”, ha scritto in un foglio bianco letto da Giovanni, accompagnato dal regista Valerio Groppa, visibilmente commosso. Quindi la band ha interpretato l’allegra colonna sonora del nuovo film, cantata da un Pecci ormai sciolto in mille emozioni. Il resto è stato applausi, ovazione e sguardi puntati su un balconcino, in fondo, centrale… dove in incognito dopo l’apparizione in pubblico della Prima, era seduto proprio lui, Francesco. Accanto Leonardo Pieraccioni, l’unico grande comico a essere accorso al Metastasio per la rinascita di Cecco.