Cosa succede oggi quando alle nuove generazioni di architetti viene data la possibilità di realizzare i propri progetti, che riguardano ad esempio la riqualificazione di vaste aree, in tempi rapidissimi e con una manodopera a basso costo? Il vertiginoso sviluppo ha trasformato la Cina in uno di quei paesi dove viene data tale possibilità. Una simile opportunità può portare con sé rischi e responsabilità e pone questioni importanti. È possibile costruire senza dimenticare le proprie radici, tradizioni? Quanto è necessario cancellare le vestigia del passato per costruire le architetture del presente? Quali le previsioni per il futuro?.

Con questa premessa viene introdotto l’incontro, dal titolo “La città perduta: l’architetto tra tradizione e innovazione”, con l’architetto cinese Yung Ho Chang, in arrivo al Pecci domani pomeriggio (martedì 17 febbraio, ore 18, ingresso libero). Insieme al collega Marco Brizzi,  parlerà del “delicato equilibrio tra tradizione e innovazione nell’architettura contemporanea”.

changYung Ho Chang, si legge nella nota stampa,  ha fondato nel 1993 l’Atelier Feichang Jianzhu (FCJZ),  il primo studio professionale di architettura non governativa cinese.  Le architetture di Chang, negli ultimi vent’anni, esprimono la sua capacità di “rivedere” e “rielaborare” i modelli occidentali, come nel caso della Vertical Glass House di Shanghai (nella foto di anteprima), progettata nel 1991 e realizzata nel 2013. In questo edificio Chang, continua la nota, ha ribaltato in verticale un’icona dell’architettura modernista come la Glass House di Philip Johnson, integrando tecnologie digitali di progettazione con tecniche costruttive artigianali. Per Chang la globalizzazione è “un fenomeno molto interessante. Dal punto di vista professionale, quello che m’interessa è quale tipo di scambio culturale venga promosso dalla globalizzazione”.