resistenza

Bogardo e Alighiero Buricchi, Ariodante Naldi e Bruno Spinelli erano giovani e partigiani. La sera dell’11 giugno 1944, dopo aver pianificato l’azione insieme all’intero gruppo della Squadra di azione partigiana (Sap) di Carmignano, coordinata dal vicino nucleo di resistenza che operava fra Prato e Pistoia, piazzarono dell’esplosivo ad alcuni vagoni zeppi di tritolo e fermi a 400 metri dalla Stazione di Carmignano, nei pressi dell’allora fabbrica di esplosivi Nobel, controllata dai nazisti. Con loro Lido Sardi, Mario Banci, Ruffo Del Guerra ed Enzo Faraoni. L’intento era sabotare il rifornimento di armi destinato all’esercito di Hitler arroccato sulla linea gotica. L’azione partigiana però ebbe esiti tragici: Bogardo, 24 anni, Alighiero, 19, Ariodante, 21 e Bruno, 43, non riuscirono a mettersi in salvo e morirono travolti dalla immane esplosione che scoperchiò numerosi tetti della vicina Poggio alla Malva e provocò una voragine profonda fino al livello dell’Arno, che interruppe la vitale linea di comunicazione nazifascista che inutilmente gli alleati avevano cercato di colpire con le loro bombe. Un sacrificio, quindi, che ebbe un risultato fondamentale nella lotta per la liberazione della Toscana: il polverificio Nobel nel massimo della sua attività occupava circa tremila operai ed era uno dei più importanti d’Italia e in seguito al sabotaggio cessò la sua attività e non fornì ai tedeschi più un chilo di esplosivo.

Questo il racconto che i superstiti fecero di quel sabato sera piovoso di giugno di 71 anni fa, ricostruito dall’Associazione Resistente Prato.

Dalla Serra partirono Bogardo e Alighiero Buricchi, Lido Sardi, Bruno Spinelli e Mario Banci. Enzo Faraoni e Ariodante Naldi attesero sul muro davanti al bar di Poggio alla Malva, mentre Ruffo Del Guerra arrivò un po’ un più tardi, perché all’ultimo momento tornò a casa per indossare un giubbotto pesante a causa della pioggia. Appena furono in cima alla cipressaia, presso la Cavaccia, Bogardo dispose che scendessero tre da una parte e tre dall’altra, mentre lui e il Naldi avrebbero tagliato dritto verso il centro della zona che dovevano raggiungere.

I vagoni erano disposti su un fronte di 50-60 metri, a circa 400 dalla stazione, su un binario evidentemente predisposto per tenere a debita distanza dall’edificio i pericolosi prodotti del polverificio Nobel.

Le sentinelle dovevano essere eliminate, ma stranamente non furono trovate. Quel sabato sembra vi fosse una festa allo stabilimento Nobel e i soldati tedeschi probabilmente erano andati tutti a ballare. Al segnale di via libera ebbe inizio la fase più delicata della pericolosa operazione: mentre una parte dei partigiani vigilava alle due estremità dei vagoni, Enzo Faraoni ne spiombò uno e Bogardo vi entrò dentro con Ariodante Naldi. Il programma era questo: prelevare una cassa di tritolo per minare, in un secondo momento, il ponte del Mulino. Al segnale di Bogardo, fatto con una lampada elettrica, riunirsi e quindi partire per il sentiero che saliva obliquamente per mettersi al riparo sulla strada rotabile, possibilmente oltre il crinale, verso Poggio alla Malva. Avevano calcolato di poter raggiungere agevolmente il luogo prescelto per mettersi in salvo. Bogardo aveva con sé sette metri di miccia e nella peggiore delle ipotesi la miccia della bomba a tempo durava un minuto, e in un minuto erano certi di poter arrivare al sicuro.

Appena aperto il vagone Bogardo disse ai compagni: “Ragazzi un po’ di tempo ci vuole: son casse di legno spesso e per aprirle…”. “Va bene, aspetteremo”, gli risposero. Dopo una decina di minuti affidò una delle casse di tritolo, di 40 chili, a Bruno Spinelli, il quale si avviò con Mario Banci verso la Cavaccia, un ampio piazzale al margine della strada in cima al cipresseto e rimase nel vagone per un tempo che al Faraoni sembrò interminabile. Poi disse ai compagni: “Noi saremmo pronti. Non si fa altro che accendere la miccia. Però ho portato anche una bomba a tempo, per maggior sicurezza, nel caso ci fosse una malfattura della miccia”. Ma nel vagone aveva introdotto anche un fascio di balistrite in strisce, afferma Enzo Faraoni, con l’intento di innescare un incendio, di fare insomma una grande fiammata. Nessuno sa cosa fecero durante il tempo che rimasero nel vagone Bogardo Buricchi e Ariodante Naldi. Teoricamente l’operazione era molto semplice: consisteva nel collegare la miccia che avevano a disposizione a quella dell’ordigno, che diventava così un detonatore. Ma qualcosa non funzionò, andò storto.

Non vi sono elementi sufficienti per formulare ipotesi alcuna. Si è già detto che Bruno Spinelli e Mario Banci si erano avviati con la cassa di tritolo alla Cavaccia. Il resto della squadra era già lungo la scarpata ad attendere il segnale convenuto per riunirsi e quindi allontanarsi, però Ruffo Del Guerra si trovava sul ripiano, nel cipresseto, dopo aver percorso il primo tratto del sentiero che abbiamo delineato, quando vide accendersi la lampada elettrica di Bogardo. Egli chiamò il compagno che gli era più vicino: “Enzo!”. “Ovvia!”, rispose Enzo. Dopo di che, il Del Guerra vide Bogardo Buricchi con Ariodante Naldi saltare dal vagone e subito dopo il bagliore dell’esplosione, mentre Enzo Faraoni e Lido Sardi ricordano che si erano appena allontanati, di corsa, in fila indiana di pochi metri, che furono investiti dalle deflagrazioni perché lo scoppio dei carri avvenne per simpatia e non fu simultaneo.

“Non finiva mai!”, hanno raccontato i superstiti. Le onde d’urto schiacciarono e quasi disintegrarono sulle rocce circostanti Bogardo e Alighiero Buricchi con Ariodante Naldi. Di loro verrano ritrovati a distanza soltanto frammenti di ossa e tessuti muscolari, con la tessera ferroviaria del Naldi. Faraoni e Sardi furono scagliati nel bosco e atterrati. Del Guerra ricorda un attimo in cui vide tronchi e alberi schiantarsi e abbattersi e frantumarsi su per il pendio, poi più niente. Bruno Spinelli, che aveva raggiunto la Cavaccia, fu investito forse anche dalla deflagrazione dell’esplosivo che aveva con se, scagliato dall’altra parte della strada su alcuni massi dove batté la testa e rimase mortalmente ferito. Mario Banci non riportò ferite gravi, anche se era in condizioni pietose. Ai partigiani caduti fu assegnata la medaglia d’argento al valor militare tra il 1971 e il 1972”.

Per ricordarli ogni anno Carmignano organizza una serie di iniziative. Questo il programma di quest’anno.

Stasera, giovedì 11 giugno, alle 21: nel giardino del palazzo comunale di Carmignano: “Quello che rimane” – Spettacolo teatrale. Di Tommaso Santi. Diretto da Massimo Bonechi ed interpretato da Andrea Bacci. Ingresso gratuito.

Sabato 13 giugno alle 10: “Sentieri Partigiani: il sabotaggio della brigata Buricchi” – Camminata a cura di Anpi e LeftLab con partenza da Carmignano piazza Matteotti e arrivo alla stazione di Comeana. Info e prenotazioni: [email protected] – 0574 1824829

Domenica 14 giugno ore 16: Visita guidata alla ex polveriera Nobel di Signa – Ritrovo alle 16 alla Stazione di Carmignano – A cura dell’Ass. Frammenti di Memoria – Info: 338-9552704 – 347-3805234