Foto via Nazionale Italiana di Calcio Fanpage

Perché il calcio è lo sport più bello del mondo? Perché non necessariamente vince il più forte, chi gioca meglio, ma chi la mette dentro, una volta in più dell’avversario. E quella che può sembrare una profonda ingiustizia è in realtà il suo meraviglioso splendore che rende sempre possibile, fino a che l’arbitro fischia tre volte, sovvertire ogni pronostico, i valori in campo, rendendo lecito qualsiasi sogno, se supportato dalla forza di carattere e dalla grande volontà. Tradotto: grazie a una sana dose di culo, che non guasta mai.

E così dopo la vittoria da favola della Danimarca nel 1992, dopo l’oscena Grecia nel 2004, un’altra outsider, nella storia recente del torneo, conquista il titolo di Campione d’Europa: il Portogallo delle eterne incompiute – almeno con la maglia della propria Nazionale – che si va a riprendere con dodici anni di distanza, quella finale gettata ai maiali giocata in casa proprio contro gli ellenici, vincendo il suo primo alloro internazionale.

Un Portogallo partito a fari spenti, con un Cristiano Ronaldo presentatosi all’appuntamento con le polveri non bagnate ma fradice, e che nel più facile dei gironi si qualifica senza troppo merito grazie al ripescaggio, inanellando tre pareggi contro Islanda, Austria e Ungheria, con tanto di rigore fallito da CR7 – oddio l’ho scritto anche io – nella seconda gara. Poi la vittoria negli ottavi di finale contro la favoritissima Croazia, grazie alla rete del redivivo Quaresma, allo scadere del secondo tempo supplementare, la portano ai quarti dove supera un’ottima Polonia solo ai calci di rigore, decisivo ancora una volta la rete di Quaresma. In semifinale batte il sorprendente Galles, due a zero grazie al risveglio di Ronaldo e al raddoppio di Nani. E’ l’unica vittoria dei lusitani nei tempi regolamentari, ma tanto basta per ritrovarsi in finale contro i padroni di casa.

Eccola lì la Francia, l’altra faccia della medaglia, la favorita della vigilia, arrivata all’appuntamento con l’abito elegante, il vento in poppa, il favore dei pronostici e una storia da raccontare, quella di Griezmann, divenuto simbolo della rinascita dall’orrore del Bataclan. La Francia che finalmente è riuscita a violare il tabù Germania, che a sua volta ha violato il tabù Italia, che a sua volta ha violato il tabù Spagna. La Francia scossa da terrorismo e dal dilagare dell’estrema destra, che tanto avrebbe bisogno di una vittoria per rinverdire l’orgoglio nazionale, ultimamente calpestato.

Tutto sembra scritto, specie dopo sette minuti di gioco, quelli che servono ad a Payet – rivelazione del torneo – per accoppare Cristiano Ronaldo, che resiste stoicamente una ventina di minuti prima di abbandonare il campo tra le lacrime e con un ginocchio fuori uso.

Senza il suo fuoriclasse il Portogallo pare poca roba. E infatti la Francia prende in mano le redini del gioco, ma trova sulla sua strada il secondo portiere degno di nota di tutta la storia del calcio lusitano oltre Vitor Baia: Rui Patricio, che già al nono minuto è stato favoloso su Griezmann e che con le sue parate tiene viva la sua squadra. Dove lui non arriva, ci pensa il palo colpito a tempo scaduto da Gignac a fare rotolare di nuovo il Portogallo ai supplementari.

Ed è il più antico dei tormentoni calcistici, quello del goal sbagliato e del conseguente goal subito. Nel secondo supplementare Guerreiro centra una clamorosa traversa, preludio alla saetta che uno Zeus coi sensi di colpa invia al 109° minuto di gioco a l’altro Eder, illuminandolo di gloria, come il bonus super­potere di un videogame. Il portoghese sradica un pallone sulla tre quarti e lascia partire una randellata in diagonale che non dà scampo a un – leggermente – poco reattivo Lloris, riuscendo là dove non erano mai riusciti fuoriclasse come Eusebio e Figo, Rui Costa e Deco: regalare al suo paese la gioia dell’indicibile vittoria.

Viene così violato l’ultimo dei tabù: il Portogallo riesce finalmente a vincere qualcosa superando, dopo dieci sconfitte e tre eliminazioni nei tornei internazionali, la Francia che piange lacrime d’amaro, le stesse che ci fece versare Trezeguet nel 2000.

E se l’incredibile epilogo fa aumentare le recriminazioni per la surreale uscita di scena azzurra, sui passi della Zaza­dance, consoliamoci pensando a come sarebbe bello per noi, rappresentanti della generazione Interrail, noi che non ne possiamo più di sentir puttanate del genere ma quanti neri erano in campo in entrambe le squadre, poter essere adesso a Bairro Alto a Lisbona, o in un quartiere popolare di Oporto, o nel più umile villaggio di pescatori dell’Algarve, a ubriacarsi senza ritegno, tracannando come cani porto, birra e vino verde, mangiando calamari e baccalà fino ad esplodere, festeggiando e piangendo di gioia insieme a un popolo umile e fiero e a un paese meraviglioso. E da stanotte anche vincitore.