Correva l’anno 1956 e fuori dalle mura, dalla Porta Santa Trinita alla Chiesa del Soccorso, era appena cominciata la costruzione selvaggia dei palazzoni in quelli che erano stati terreni di proprietà dell’ospedale. Sono gli anni in cui Prato assume una sua identità autonoma da Firenze: la città cresce esponenzialmente raggiungendo 100.000 abitanti nel 1959, ha il suo primo vescovo (il giovane Pietro Fiordelli, nel 1954), la sua prima Federazione Comunista indipendente dal capoluogo (1959). L’autonomia urbana rispetto a Firenze e Pistoia viene ribadita dal Piano Marconi del 1963, piano su cui si svilupperà la città che conosciamo oggi. Prato comincia, anche, a voler diventar provincia, un processo che segue con determinazione per oltre trent’anni e che si compirà finalmente con la legge 142 del 1990.

Mauro Bellandi è un commerciante comunista. Come altre migliaia di atei italiani prima di lui, decide di sposare Loriana Nunziati solo civilmente il 12 agosto, matrimonio officiato dal sindaco comunista Roberto Giovannini e festeggiato in pompa magna in un ristorante di Piazza del Duomo. Lo stesso giorno, alla Chiesa del Soccorso, il vescovo Fiordelli fa leggere a don Aiazzi una notificazione in cui condanna il “gesto di aperto sprezzante ripudio della Religione” dei “due battezzati,” classificandoli come “pubblici concubini” “alla luce della Morale Cristiana e delle leggi della Chiesa.” Il prete inserisce la nota, su indicazione di Fiordelli, anche nel bollettino “Richiami,” pubblicazione che arriva nelle case di tutte le famiglie della parrocchia del Soccorso e fa affiggere la condanna sulla porta della chiesa per otto giorni. A settembre, i coniugi querelano prete e vescovo per diffamazione.

La notizia, in principio, esce solo su un periodico comunista locale. La Procura è per l’archiviazione; la Corte d’Appello il 27 giugno 1957 rinvia a giudizio Fiordelli e don Aiazzi. Ma presto quello dei concubini di Prato diviene un vero e proprio caso nazionale. Emergono le circostanze dei fatti. La Nunziati, di fatto, non è proprio atea. Tutt’altro. Proviene da una famiglia cattolica—i genitori hanno un bar sulla limitrofa via Zarini e fanno parte della congregazione del Soccorso appunto—ed è quella stessa famiglia, in particolare la madre, che avvicinata da religiosi, spinge Loriana a battezzare il figlio, Lelio, nato nell’ottobre del 1957. Lo fa di nascosto dal marito. Bellandi lo viene a sapere da altri e litiga coi familiari. Già provato per un’aggressione subita l’inverno precedente, i danni economici (è costretto a chiudere la bottega in via Cairoli per il boicottaggio subito) e lo stress per il caso ormai discusso sui principali quotidiani nazionali, si ammala. Viene ricoverato per encefalite, una complicazione dell’influenza asiatica. In quei giorni (autunno 1957), l’Osservatore Romano si schiera col vescovo. Jaures Busoni, segretario del fronte democratico popolare della provincia di Firenze, denuncia la speculazione politica del caso, visti i 300,000 matrimoni civili celebrati in Italia dalla firma dei Patti Lateranensi del 1929. “Ma Prato non era Roma o Milano,” mi spiega Mario Dini, 88 anni, storico dirigente del PCI di Prato, che civilmente si sposò nell’ottobre del 1957 “senza suscitare alcun clamore.” “Quello che fecero i Bellandi era una cosa rarissima per la Prato di allora,” precisa Dini.

Al processo, che ha luogo nel febbraio del ‘58, a ridosso delle elezioni politiche, Fiordelli non si presenta; ci sono i comitati civici e sempre più curiosi in platea. Si discute anche della dinamica del famoso battesimo di Lelio. In città, c’è chi si schiera col vescovo e chi contro, anche tra i cattolici, seppur pochi lo facciano pubblicamente. Il caso è oramai divenuto un “fatto popolarissimo che appassiona le grandi masse,” come riporta l’Unità. Si è aperto anche un dibattito giuridico e processuale su cosa costituisca la reputazione morale e civile di una persona, conversazione che presto degenera in un vero e proprio scontro tra Stato e Chiesa, che secondo il gesuita Lener (La Civiltà Cattolica) produce un vulnus al Concordato—insomma, si tratta di una questione diplomatica piuttosto che penalistica. Furono dure le accuse a Fiordelli dal mondo laico (L’Unità, L’Espresso, Il Mondo), mentre lo difese il giurista Giorgio La Pira. L’avvocato della difesa D’Avack pose la questione etica di considerare “la buona reputazione fideistica e religiosa parte costituente di quella civile e laica.”

Non era dunque stata un’ingerenza quella del vescovo di Prato? All’inizio parve di sì.

Il Tribunale di Firenze dà ragione ai coniugi. Fiordelli viene condannato al pagamento di 40,000 lire di multa ai Bellandi e alle spese processuali, fatto inedito per un vescovo. Al momento della lettura della sentenza, i giornali di sinistra riportano in aula “un entusiasmo indescrivibile;” fuori dal tribunale, la folla esulta.

Fiordelli, messo a capo della nascente diocesi di Prato proprio in quanto giovane espressione della pastorale dinamica e aggressiva di Pio XII, alza i toni. Si paragona a Gesù ed accomuna i giudici ai persecutori dei vescovi in Cina. Centinaia di attivisti clericali e democristiani vanno alla Curia a portare la propria solidarietà a Fiordelli. Avviene addirittura una presa di possesso (illecita) delle onde di trasmissione radiofonica durante il varietà del secondo canale, “Campo de’ Fiori,” al momento del giornale radio. Lo speaker pronuncia un comizio aggressivo lungo 15 minuti contro la magistratura italiana. Il vescovo di Prato trova imitatori a Cremona e a Roccastrada (in provincia di Grosseto).

Intanto, la Democrazia Cristiana esce vincente dalle elezioni di maggio e il cosiddetto “centro democratico” rinsalda la propria posizione di forza governativa.

A ottobre, Fiordelli e don Aiazzi vengono assolti in appello con formula piena con la seguente motivazione: la Chiesa cattolica è “nel proprio ordine indipendente e sovrana, riconosce che lo Stato italiano non ha alcun sindacato sul merito degli atti da essa emanati in forza del suo potere e della sua attività giurisdizionale in materia ecclesiastica, ma rivendica al tempo stesso a sé un generale sindacato sul modo di esercizio di siffatto potere ed attività”. Ancora: rifacendosi al Concordato, “è indubitato che lo Stato non può censurare un atto compiuto da un sacerdote nel suo ministero spirituale”.

Le sanzioni inflitte dal vescovo ai coniugi Bellandi sono “esclusivamente spirituali” visto che Il vescovo “non ha pertanto disconosciuto la validità del matrimonio civile di fronte alle leggi italiane ma ha espresso il suo apprezzamento sul matrimonio civile alla luce del diritto della Chiesa”. Risuonano quantomeno beffarde tali precisazioni alla luce delle devastanti ripercussioni del caso sulla vita dei due coniugi.

Le vicende di Mauro Bellandi e Loriana Nunziati successive al processo sono meno note. I due si separarono subito. Dopo aver sofferto un ictus, l’uomo chiese di esser trasferito a Praga per ricevere cure migliori; a detta di Dini, il Partito si fece carico di tutte le spese. Secondo la ricostruzione di Toscana Oggi, Bellandi venne fatto invece “sparire”, a suggerire che era diventato un personaggio scomodo. Ritornò a camminare, grazie alla riabilitazione, in Cecoslovacchia si rifece una vita e rivide Lelio, che aveva appena conosciuto da infante, solo negli anni Settanta. La Nunziati crebbe il figlio nella tradizione cattolica—la professoressa Carla Bertini mi racconta che mandò Lelio a scuola proprio alla Casa del Fanciullo. La donna morì nel 2007, proprio lo stesso 12 agosto in cui “da cristiana” si era voluta unire in matrimonio civile con il comunista Bellandi e per questo, “per essersi imputata,” era stata pubblicamente additata come concubina dal proprio vescovo.

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Il progetto “La città continua“, elaborato da da CUT Circuito Urbano Temporaneo, Ricilclidea e dal Servizio politiche giovanili del Comune di Prato è finanziato dalla Regione Toscana sul DD relativo agli interventi sulla sicurezza urbana integrata.