Dopo la prima mostra italiana del cinese Ren Hang, il Centro Pecci continua la propria indagine sul corpo, l’identità e il genere attraverso il mezzo fotografico perché, come ha detto la direttrice Cristiana Perrella durante la presentazione della mostra di Jacopo Benassi alla stampa, “credo che questi temi, con tutte le loro complessità e contraddizioni, siano oggi al centro di un dibattito rivoluzionario e che l’arte abbia in questo dibattito un ruolo riconosciuto”.

Ecco quindi “Vuoto” del fotografo spezzino Jacopo Benassi. Quanto di più lontano si possa pensare, almeno concettualmente, dall’iconica rivoluzione dell’immaginario firmata da Ren Hang.

Per raccontare meglio il principio che regola la fotografia più personale di Benassi forse può aiutare la spiegazione del titolo, che descrive la sensazione ottenuta ripercorrendo a ritroso la propria produzione. Un vuoto che equivale a un’esposizione verso l’esterno percepita come totale, non contrastata e, anzi, alimentata fino alle estreme conseguenze: portare addirittura il proprio studio in mostra. E proprio dal suono di una delle chitarre inchiodate alla croce che campeggia sopra l’installazione-studio è stata richiamata l’attenzione all’inizio della presentazione.

Cinquant’anni, Jacopo Benassi veste come un cacciatore appassionato di heavy metal ma contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare non c’è alcuna ruvidezza nel suo modo di porsi e raccontare immagine dopo immagine la prima personale a lui dedicata in un museo.

Ha cominciato a fotografare da autodidatta la scena musicale spezzina negli anni ’80. E poi ha continuato con ritratti di artisti ben più famosi per molte riviste italiane, sviluppando uno stile volutamente crudo, senza mediazioni, che pur cercando una corrente d’appartenenza sembra seguire strade proprie verso una nuova definizione del racconto del corpo da una parte (ritratti e autoritratti) e verso sperimentazioni più materiali dall’altra. Come, per esempio, il progetto sul tessile commissionato dalla Manteco (The Belt) o la recente attenzione per le cornici, i timbri e i vetri tagliati.

Ma è appunto il corpo, il proprio e l’altrui, l’oggetto della ricerca del fotografo e performer spezzino. Come se fosse una misura di confronto con il mondo, soprattutto in chiave autobiografica, il ricorso all’autoritratto viene presentato accanto a due lavori a che sembrerebbero rappresentarne il superamento.

“Fags”, che verrà pubblicato a breve, è un viaggio “quasi pasoliniano” nell’omosessualità, lo ha definito lo stesso Benassi. Una summa riordinata dei propri incontri sessuali dall’inizio degli anni Duemila ad oggi. In un menabò preparatorio racconta una storia che comincia di notte, alla pensilina di un autobus, e che procede per ritratti, dettagli anatomici e interni in una reiterazione che sembra destinata a non avere fine.

Il secondo lavoro, questo davvero ancora senza data di pubblicazione, racconta allo stesso modo – menabò preparatorio per una pubblicazione – il viaggio fatto nella città cinese di Guangzhou nel 2013. Ma guardando il menabò, qui l’indagine si allarga a tutti gli aspetti di una metropoli, e ai ritratti degli amanti e delle amanti fa da contraltare il racconto del capitalismo cinese e della sua fauna umana, dei suoi piatti sporchi, del suo cemento e delle sue strade, dei suoi centri commerciali. E il confronto, l’indagine, in questo caso sembra arrivare ad una forma compiuta.

“Vuoto” di Jacopo Benassi.
A cura di Elena Magini.

Da giovedì 10 settembre 2020: dalle ore 12 alle ore 20, dal giovedì alla domenica.

Ingresso intero: 7 euro; ingresso ridotto: 5 euro

L’entrata alle altre mostre del Centro Pecci rimane gratuita fino al 23 ottobre.

Foto Ok NO studio