libidine violenta

Enzo Moscato è uno dei più importanti autori di un teatro napoletano arrivato dopo Eduardo De Filippo e questa settimana sarà a Prato col suo ultimo spettacolo “Libidine Violenta”. In scena, “un viaggio allucinante e allucinatorio dentro le pulsioni autofagocitanti della scrittura, le ossessioni di una mente al limite, la fuga dalla follia e dalla solitudine attraverso l’eccesso, il parossismo, la farsa, l’ironia” si legge nella presentazione.

Per arrivare preparati a “Libidine Violenta” (da martedì 22 novembre a domenica 27) e conoscere meglio questo autore abbiamo chiesto a Rossella Ascolese, artista burattinaia che divide il suo lavoro tra Prato e Salerno, grande appassionata del teatro di Moscato di raccontarci quali, secondo lei, potrebbero essere i motivi per non perdere questo spettacolo.



1. La libidine secondo Moscato
«La libidine è una parola che riporta ad un immaginario che noi pensiamo proibito. Nel caso di di Moscato non è così: si tratta in generale dei sensi che si riaccendono. I corpi sono corpi che entrano nel teatro e nella sua ritualità: abbiamo la sensazione di accedere a un rito che richiama l’invocazione agli déi di antica memoria.  Solo che queste divinità sono delle divinità imperfette: sono femminielli, sono trans, sono entità sacre di un sottobosco napoletano che da Napoli si dipartono per diventare sirene improbabili di un’odissea che va in giro per tutte le lingue che Moscato usa. La lingua non è altro che ritmo fluido e poetico che ci fa entrare in questa serie di visioni che da Napoli si dipartono per andare nel sottobosco di tutte le periferie del mondo».

2. Il corpo
«Nel corpo viene fuori la libidine per Moscato. Il corpo che può esprimersi in quanto tale, una natura umana che viene fuori in maniera terribile e poetica: non esiste un’unica sessualità, non esiste un unico modo di essere quello che siamo, maschi, femmine, bambini, adulti. Esistono dei personaggi “inganno” che all’inizio appaiono per quello che sembrano e poi diventano altro. Noi tutti rappresentiamo il desiderio di esprimerci di essere qualcos’altro, nel flusso di vita che ci attraversa, che vuole esprimersi e diventare altro, farci esprimere per quello che siamo in una natura che non sempre ci permette di essere accettati. E questo non soltanto in un’idea di diversità contemporanea, ma siamo tutti diversi da quello che vogliono gli altri. Queste divinità imperfette, questi fantasmi che appaiono e scompaiono non vedono l’ora di far uscire ed esprimere le loro corporeità trasgressive ma anche estremamente normali. È la caratteristica del teatro di Moscato che mi emoziona di più».

3. La Negazione
«Una volta partecipai ad un incontro pubblico con Moscato, durante il quale un giornalista chiese: “A cosa educa il suo teatro? Alla speranza? Alla Bellezza?” e lui risposte lapidario di no, “e allora a cosa ci educhi?”‘, rispose subito un ragazzo tra il pubblico. E lui: “io non vi educo alla bellezza, alla speranza, perché abbiamo visto che quando la nuttata è passata (riferendosi alla Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo, ndr.) e non è accaduto niente, c’è ancora il disagio, siamo senza lavoro e le città sono piene di persone che soffrono. Io vi educo alla negazione”. Negazione intesa come tutto quello che dovrebbe essere come non è, a questo flusso di vita che scorre sulla scena, nonostante tutto».

4. La libidine della vita
«Io non vedo l’ora di andare a vedere Moscato a teatro proprio per vivere questa libidine che è il rito del teatro, innanzitutto. Entrare nel flusso di parole, di ritmi, di sensazioni, di dediche ad altri mondi, ad altre lingue, ad altre entità, ad altre sessualità. È una dimensione che bisogna vivere, in cui bisogna immergersi, che ci riporta a quanto di più profondo, di più prezioso che ci scorre nelle vene, ma è anche la vita che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno di cui non sempre ci accorgiamo di quanto possiamo viverla. Questa sensualità, questa libidine violenta, la vita l’impatto con le persone, con i dolori, le gioie, con i corpi, con le assenze, con le mancanze, con il lutto o la negazione dell’amore che proviamo. Questa è la libidine della vita».

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