Elena Pirazzoli è stata ospite della rassegna “Il teatro e la città” con l’incontro “Volontà degli uomini e lavoro del tempo, come nasce un luogo di memoria per la comunità”.

Pirazzoli è, tra le altre cose, una ricercatrice dell’Università di Colonia, con la quale porta avanti una ricerca dedicata alle stragi nell’Italia occupata (1943-45) nella memoria dei loro autori. È anche autrice del libro “A partire da ciò che resta – Forme memoriali dal 1945 alle macerie del muro di Berlino”.

È quindi la persona giusta per parlare di come i luoghi diventano elementi simbolici nell’immaginario della collettività. E il suo intervento, introdotto da Marco Brizzi, è prima servito a chiarire cosa si intende con luogo della memoria oggi e poi a presentare alcuni esempi di interventi artisti al servizio della memoria di una collettività.

Innanzitutto ha raccontato come il termine “luogo di memoria” è nato in seno ad un progetto francese, sviluppato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, che aveva l’obiettivo di mettere a duoco i passaggi più importanti della storia francese recente.

Per i francesci “luogo di memoria” – il termine entra nel vocabolario nel 1993 – è un paradigma concettuale, traducibile come “unità significativa di ordine materiale o ideale che la volontà degli uomini o il lavoro del tempo hanno trasformato in elemento simbolico di una comunità”. L’accezione che gli viene data è cioè molto più larga e complessa di come viene di solito usato oggi il termine. In Italia il termine viene adottato per la prima volta qualche anno dopo e viene utilizzato in modo diverso. Per intendersi, luogo della memoria è Piazza Fontana come il cinema di un paese, sono figure come Mazzini o Mussolini oppure la mafia, il rapimento Moro e così via. Si deve invece ai tedeschi l’accezione con la quale viene usato il termine oggi, un luogo della memoria fa riferimento ad un evento traumatico e violento del quale non si deve perdere traccia.

Pirazzoli sostiene che quando si parla di un progetto come la riqualificazione del Fabbricone sarebbe opportuno utilizzare l’accezione originaria, quella francese.

Fornisce poi alcuni esempi di interventi a supporto della memoria. Il più imponente (bellissimo) è quello dell’artista Christian Boltanski ad Halifax, dove una vecchia e gigantesca fabbrica è stata trasformata in un vero e proprio collettore di tracce, un archivio collettivo delle persone che hanno frequentato quel luogo nel tempo.

Un altro esempio è l’intervento dell’artista tedesco Jochen Gerz commissionato dal ministero della cultura francese nel villaggio di Biron (1996), dove le SS fecero un massacro ancora ben presente nella memoria del paese. Qui, l’artista tedesco andando casa per casa pone una domanda che non è esplicitata e le risposte le attacca letteralmente all’obelisco per i caduti di guerra di cui non si occupava più nessuno al centro della piazza del villaggio. Il progetto si chiama ” Il monumento vivente di Biron” ed è stato pensato per continuare a esistere nel tempo, grazie agli interventi dei nuovi abitanti del villaggio.

Il terzo esempio riguarda invece l’attività della compagnia Zeta, che mette in scena spettacoli in luoghi la cui storia entra di prepotenza nella drammaturgia, anche se lo spettacolo non riguarda esplicitamente i fatti che lo hanno visto protagonista. Il progetto “Nidi di Ragno” attraversa i luoghi dei simbolo della seconda guerra mondiale nei nostri territori: Marzabotto, il cimitero germanico del passo della Futa, Montesole.

Memoria e composizione della memoria, riattivazione della memoria, riscoperta della memoria come pratica artistica e non solo. «La memoria non deve irrigidire il presente – conclude Pirazzoli – dobbiamo trovare un equilibrio tra il tenere tutto e il buttare tutto».