Starbucks: lavorare insieme e scambiarsi idee davanti a un caffè fumante. Questo è il “brodo primordiale” in cui nasce il coworking, nel fertile terreno della Silicon Valley californiana.

Ma cos’è davvero il “lavoro condiviso”?

Proviamo a farci aiutare da Wikipedia: Il coworking è uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente. A differenza del tipico ambiente d’ufficio, coloro che fanno coworking non sono in genere impiegati nella stessa organizzazione. Si tratta quindi in primis di una filosofia di vita – ormai diventata una corrente di pensiero – che parte dalla necessità di ridurre i costi e scopre poi la possibilità di sviluppare sinergie.

Attrae tipicamente professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e finiscono per lavorare in relativo isolamento. Ecco la carta d’identità dei coworkers: possono chiamarsi freelance o “nomadi”, ma sono tutti accomunati dal bisogno di interagire con altre realtà, per sconfiggere la solitudine professionale e per evitare le distrazioni tipiche dell’ambiente domestico o dei locali pubblici.

Il settore di provenienza dei coworkers è tipicamente quello informatico, ma si è ormai esteso anche ad altre attività (giornalisti, designer, lavoratori autonomi) ed in generale a tutte le professioni che possono beneficiare di un ambiente “social”. Un esempio pratico per capire il coworking può essere: da una parte il libero professionista che mette a disposizione i propri spazi per ottimizzare le spese e trovare nuovi stimoli (avendo la possibilità di incontrare professionisti anche di settori diversi); dall’altra il freelance che ha l’opportunità – a costi contenuti – di condividere esperienze e sviluppare “contaminazioni professionali”.

Il coworking, però, non può garantire la necessaria privacy, la concentrazione e i servizi tipici di un ufficio “tradizionale”.
Quali le alternative allora?

La più semplice e immediata è il lavoro da casa: costi limitati, possibilità di conciliare lavoro e famiglia, vantaggi anche in termini di impatto ambientale (non è necessario usare l’auto). Come già accennato, però, avere un’attività in casa può portare all’isolamento personale e lavorativo, oltre alle continue distrazioni che difficilmente permettono di concentrarsi sul lavoro. In ogni caso il fenomeno dello “smart work” è di grande attualità: a tal proposito segnaliamo la Giornata del lavoro agile, iniziativa promossa questo mese dal Comune di Milano.

Quando poi l’attività comincia a espandersi, può essere necessario “fare il salto di qualità” prendendo in affitto un ufficio vero e proprio. In questo modo si risolvono i problemi di privacy, c’è più spazio anche per eventuali dipendenti e – con la crisi del settore immobiliare – è possibile trovare uffici a prezzi concorrenziali; di contro, allestire un ambiente lavorativo da zero comporta un grosso impegno in termini di tempo e di costi.

Infine, si può scegliere di utilizzare un ufficio in business center. I “centri uffici” – realtà nata anche questa negli USA e ormai diffusa nel nostro Paese – mettono a disposizione spazi lavorativi subito operativi. Ognuno ha il proprio ufficio riservato ma – se e quando vuole – può scambiare due chiacchiere con le altre aziende presenti nel Centro, davanti a un caffè (sicuramente più espresso dello Starbucks!) o nel business lounge. Rispetto al coworking, però, questa soluzione ha un costo di utilizzo più alto e – essendo un fenomeno ancora in espansione – potrebbe non essere presente nella città desiderata.

In definitiva, meglio soli o in compagnia? Come sempre dipende dal carattere della persona, dal tipo di attività, dalle proprie esigenze e dalla fase lavorativa e personale in cui si trova.