Nell’ultima giornata del Festival ci lasciamo conquistare dalla Barceloneta indugiando davanti ad una Paella de Arroz Negro che ritarda il nostro ingresso al Parc del Forum. Non ci sono headliners di rilievo oggi e stanchi di difendere con i denti le prime file del sottopalco, decidiamo di seguire un approccio gitano muovendoci senza una meta precisa. Arriviamo appena in tempo per ascoltare il bis finale di Marquee Moon dei Television, leggende del punk rock che qui ripropongono tutto d’un fiato l’album omonimo, capolavoro d’esordio datato 1977.

Nella luce del tramonto, camicia bianca e mare alle spalle, Caetano Veloso riesce nell’impresa di riempire parterre e anfiteatro del Ray-Ban Stage. Il pubblico del Primavera, uso ad altre sonorità, ascolta incantato uno dei padri della samba distillare perle di rara bellezza.

Facciamo un’incursione all’Adidas Originals dove si agitano i Dënver, un duo elettro-pop cileno da sagra popolare. Lui è vestito da Tony Corallo de nosotros, lei coperta solamente da un top nero svolazzante, ad ogni salto lascia intravedere la vera ragione per cui il pubblico maschile si ostina sotto il palco.

Sul Sony Stage salgono i Volcano Choir del canadese Justin Vernon che si  diverte con la voce tra effetti digitali e falsetto naturale. Finisce per assomigliare molto al sound dei Bon Ivér, l’altro suo progetto musicale e indurre il consueto abbiocco post hamburger festivalero. Ora e scenario coincidono infatti con Midlake e Slowdive.

Dallo scatolotto nero del Ray-Ban Unplugged emergono i potenti ritmi synth degli Say Yes Dog, un trio indie pop del Lussemburgo del quale sentiremo sicuramente parlare in futuro. Nel Boiler Room impazza un dj-set ipnotico. Il pubblico in apnea è spinto a pressione in una semisfera di otto metri e la fila del bar si confonde con quella dei bagni. Al Vice si poga duro con i Cloud Nothings. Nella migliore tradizione hardcore punk vola di tutto: bicchieri, chitarre e qualche spettatore.

I Blood Orange invece ci incollano sotto il palco già dal soundcheck. La band è l’ennesimo progetto musicale di Dev Hynes talentuoso musicista, compositore e produttore londinese già dietro artisti del calibro di Florence and The Machine e Chemical Brothers. Suonano un godibilissimo R&B ballabile, tutto riff taglienti, sax e coriste black.

Mezzora e corriamo verso il Sony Stage dove hanno già iniziato i Nine Inch Nails. L’industrial rock del cantante e polistrumentista Trent Reznor non è proprio nelle nostre corde. Resistiamo un paio di pezzi giusto per goderci lo spettacolo delle luci del palco che sembra esplodere ad ogni raffica di batteria.

Sul fronte post rock sperimentale assaggiamo sia i Noodles del Thai Food sia i Godspeed You! Black Emperor all’ATP Stage. Unica band che può annoverare tra le proprie file un addetto alle proiezioni, sperimentano contaminazioni free-jazz scavando nel folk europeo. A seguire, stesso palco, i Mogwai brillante esempio di ingegneria musicale capace di combinare eleganza stilistica a tappeti elettronici, accostando distorsioni, crescendo infiniti e ritmi marziali.

Chiudiamo con i Foals all’Heineken Stage, unica performance della giornata che seguiamo per intero. Sostenuti da un grandissimo Jack Bevan alla batteria, spaziano dallo sperimentale math rock a pezzi decisamente pop come My Number e Inhaler . Yannis Philippakis frontman e fondatore del quintetto di Oxford, emula la performance di Matt Berninger del giorno precedente tuffandosi nel pubblico. Si porta dietro anche la chitarra e continua a macinare note sorretto da una selva di mani.

Alle quattro del mattino guadagnamo l’uscita e lottiamo per un Taxi con le poche energie rimaste. I video wall proiettano in continuo il promo dell’edizione del prossimo anno. Sarà la quindicesima e noi speriamo di essere qui per raccontarvela.