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EatPrato 2019

In Italia il turismo enogastronomico vola, e secondo quanto emerso dagli Stati Generali del settore i dati fanno guardare al futuro con grande ottimismo. Il turista del dopo-pandemia sarebbe più esigente per quanto riguarda i sapori, decidendo più volentieri di muoversi in presenza di esperienze legate all’enogastronomia. Che vuol dire sapori e prodotti tipici, legati al territorio che visita. Esperienze uniche, insomma.

Per rendersi conto della fascinazione che i sapori esercitano sulle masse, locali o turistiche che siano, non c’è comunque bisogno di andare lontano. Basta guardare al successo del Mercato Europeo in piazza Duomo la scorsa settimana per farsi un’idea abbastanza precisa. Oppure osservare quello che dal 2015 è diventato il centro storico, protagonista di un fenomeno che sembra inarrestabile: continuano a spuntare locali e ristoranti (un nuovo poke e una nuova birreria in arrivo ndr) e sono decine di migliaia le persone che accoglie ogni settimana. Questo fenomeno continua a generare interrogativi, polemiche e allarmi più che legittimi – così come lo sono gli entusiasmi – sulla direzione intrapresa dal cuore della città, ma è indubbio che sia ormai consolidato e capace di attrarre gusti e portafogli di tutti i tipi, da Prato e anche dalle città vicine. E che riguardi i sapori, oltre che la convivialità.

Con queste premesse diventa ancora più centrale nella promozione del territorio un appuntamento come EatPrato, cui da anni è affidata la valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche pratesi. Un evento originale non tanto nelle caratteristiche quanto per il semplice fatto che racconta e fa assaggiare prodotti locali; racconta cioè Prato, le sue tradizioni, i suoi sapori unici e al tempo stesso li mette in connessione con l’arte e la storia. Proprio quello su cui l’intero settore si sta concentrando e che tuttora si sta cercando di portare avanti a Prato con un’edizione itinerante, “walking” per chi ama l’inglese, che unisce sapori locali a passeggiate nei luoghi più rappresentativi del territorio.

Basterà tutto questo per trasformare Prato in una meta del turismo enogastronomico toscano e italiano? «Con EatPrato stiamo facendo un lavoro soprattutto di narrazione perché prima di tutto è necessario farsi conoscere – dice l’assessore al turismo Gabriele Bosi – abbiamo un ufficio stampa nazionale dedicato a questo e recentemente, oltre che sulle riviste di settore, siamo comparsi anche sul Tg2. Quindi il bilancio è positivo e lo sarà anche a fine anno perché l’edizione autunnale sta piacendo molto. Stiamo però riflettendo sull’edizione del prossimo anno, ci sono margini per crescere e questa riflessione dovremo farla con le categorie economiche».

Chi non vede l’ora di crescere e di fare dei sapori pratesi il volano del settore turistico è Renzo Bellandi, presidente di Fiepet (ristoranti e bar) Confesercenti Prato. «Prato è una miniera di sapori che potrebbero davvero fare la differenza per il settore turistico della città. Soprattutto ha il potenziale per fare tutto da sola, inventandosi cioè qualcosa di unico invece di ricorrere a format preconfezionati – dice – da una parte abbiamo i nostri piatti tradizionali e vere e proprie star da valorizzare – sto pensando alla pasticceria e più recentemente anche al sushi – e poi dobbiamo considerare che questa città accoglie più di cento etnie differenti, un capitale di sapori e di tradizioni da mettere a frutto. Però – chiarisce – è necessario coinvolgere tutti. Serve un grande sforzo di concertazione con i ristoratori, i commercianti e l’amministrazione per costruire eventi che possano davvero avere una ricaduta in termini turistici sull’intera città».

«È necessario portare avanti una politica precisa su tutti i fronti, sia su quello del cibo consumato dai pratesi che su quello inteso come attrazione turistica», spiega Leonardo Borsacchi, che al Pin insegna “Sostenibilità delle filiere produttive” (tessili e agroalimentari ndr), alla New Haven “Cultural understanding of food” ed è anche il responsabile scientifico della strategia Prato Circular City, promossa dal Comune di Prato per accelerare la transizione verso l’economia circolare a livello urbano.

«Da una parte ci dev’essere la valorizzazione del prodotto tipico e la possibilità per i pratesi, ricorrendo anche a operazioni più commerciali, di assaggiare sapori diversi da quelli abituali; dall’altra – aggiunge – per diventare fonte di attrazione turistica, il cibo deve integrarsi con la cultura, l’arte e la storia di una città ed è necessario costruire una narrazione convincente, investirci molto, e una cabina di regia che lavori per rendere sistemica l’intera offerta. Per esempio, il modello della sagra è ormai consolidato ma funziona perché contribuisce a costruire una narrazione forte del luogo in cui si svolge. Il cosplayer che va al Lucca Comics vestito di tutto punto è probabile che consumi volentieri del ramen invece che qualcos’altro. Narrazioni forti. In modo simile, a Prato potremmo portare i nostri piatti tipici nelle fabbriche oppure lo street food nelle strade di Chinatown, dovremmo cioè creare una narrazione diversa da tutte le altre. La chiave di tutto, da questo punto di vista, sono di solito le associazioni di categoria – conclude – a loro spetta il compito di proporre, dare gli input necessari per sviluppare progetti di settore: ristoratori, albergatori e produttori. Sono questi di solito i protagonisti. Anche se, per quanto riguarda l’agroalimentare, ne sappiamo ancora molto poco perché fino a 15 anni fa a Prato non esisteva che il tessile».